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Quando, nel marzo 2018, il presidente Trump ha introdotto i dazi del 25% sull’acciaio importato dall’estero, gli utilizzatori statunitensi, in preda al panico, si erano affrettati ad effettuare nuovi ordini prima della temuta riduzione dell’offerta, facendo salire rapidamente i prezzi. È stata una manna per i produttori di acciaio domestici, i quali, con molta enfasi, hanno annunciato ambiziosi piani di espansione. La United States Steel ha persino riacceso un paio di altoforni a Granite City, nell’Illinois, e Trump ha colto l’occasione per tenere un discorso entusiasmante presso lo stabilimento sulla rinascita del settore.

Una pericolosa retromarcia

Qual è la situazione oggi? I prezzi di riferimento dell’acciaio sono scesi ben al di sotto del loro livello antecedente l’introduzione dei dazi e sono pari a circa la metà del picco raggiunto nel luglio del 2018. L’industria siderurgica Usa ha risposto con un taglio della produzione. E mentre l’acciaieria di Granite City è ancora operativa, la USS ha iniziato a licenziare decine di lavoratori in altri due vecchi altiforni, vicino a Detroit a East Chicago. Altri produttori stanno chiudendo alcuni stabilimenti, licenziando i dipendenti o riducendo l’orario di lavoro, in Louisiana, Kentucky, West Virginia e Pennsylvania. L’occupazione complessiva nelle acciaierie è leggermente diminuita rispetto a due anni fa.

La radice del problema dell’acciaio è una tempesta perfetta che i leader del settore, stimolati dalla politica protezionistica di Trump, hanno creato per se stessi, per le loro aziende ed i propri dipendenti. Incoraggiati dai dazi, dalla retorica pro-business del presidente e dal taglio delle tasse che hanno riversato denaro nelle casse delle corporation, le imprese siderurgiche hanno rilanciato gli investimenti, aumentando la capacità produttiva in un mercato interno che non ne aveva bisogno.

Allo stesso tempo la guerra commerciale dell’amministrazione Trump ha contribuito ad un generale rallentamento dell’economia mondiale. La manifattura americana, che insieme al settore delle costruzioni è il principale consumatore di acciaio, si trova in una fase di stallo. La caduta della domanda ed una maggiore capacità produttiva sono una “combinazione tossica”, che costringerà l’industria siderurgica statunitense ad una dolorosa resa dei conti. Secondo le stime degli analisti, i riavvii, le espansioni ed i progetti per nuovi impianti, gran parte dei quali già in corso, aumenteranno la capacità produttiva nazionale di acciaio di circa il 20% nei prossimi due o tre anni. Ma i funzionari dell’amministrazione Trump e l’America Iron and Steel Institute sostengono che i dazi hanno fortemente frenato le importazioni e aumentato la quota della produzione nazionale di acciaio.

È vero che le importazioni sono diminuite in percentuale sul consumo totale di acciaio da circa il 30% al 20%. Ma anche se le importazioni si riducessero a zero, ci sarebbe ancora più capacità produttiva del necessario, sulla base di tutti i progetti in corso di realizzazione. Inoltre, quando la maggior parte della nuova capacità produttiva verrà utilizzata, entro la fine del 2021, la domanda di acciaio potrebbe rallentare ulteriormente. Ciò significa che i prezzi potrebbero ridursi ancora.

 

Il nodo overcapacity resta irrisolto

Quando Trump ha imposto i dazi sulla base del fatto che le importazioni minacciavano la sicurezza nazionale, pochi erano d’accordo con questa giustificazione, perfino il Dipartimento della Difesa. Inoltre la mossa aveva irritato i principali esportatori di acciaio negli Usa, in particolare il Canada e l’Unione europea, che hanno reagito con i dazi sulle importazioni statunitensi. Il presidente americano ha rimosso i dazi sulle importazioni da Canada e Messico, dopo che i due Paesi hanno dato il nulla-osta alla firma del nuovo accordo di scambio nordamericano, ma il danno è stato fatto.

I dazi non hanno affrontato il problema fondamentale: ovvero un eccesso di capacità produttiva globale causata da una sovrapproduzione in Cina, che rappresenta più della metà dell’offerta mondiale di acciaio. Questo anche perché, prima dell’azione di Trump, la quota cinese delle esportazioni di acciaio verso gli Usa era soltanto del 2% circa, poiché Washington aveva precedentemente messo in campo delle azioni contro la Cina per dirottare l’acciaio cinese su altri mercati e finanziare illegalmente i produttori cinesi.

Dazi Usa: i risultati sono contraddittoriNé i dazi imposti da Trump hanno affrontato le inefficienze del settore siderurgico statunitense. La boccata d’ossigeno dei dazi ha significativamente ritardato la chiusura di vecchi impianti a ciclo integrale che non possono competere con le miniacciaierie a forno elettrico tecnologicamente avanzate. Ne è un esempio l’impianto di AK Steel ad Ashland, nel Kentucky, per il quale era prevista la chiusura già nell’ottobre del 2015, e che potrebbe materializzarsi a breve, avendo l’azienda comunicato di volerlo chiuderlo e licenziare 260 dipendenti. Un portavoce di AK Steel ha detto che i dazi hanno aiutato, ma non sono sufficienti a salvare lo stabilimento da «sovraccapacità produttiva a livello globale e politiche commerciali sleali».

Con la caduta dei prezzi dell’acciaio, le acciaierie più inefficienti potrebbero essere chiuse man mano che si passerà ad impianti più efficienti come le miniacciaierie a forno elettrico. Accordi di lavoro, contratti di acquisto a lungo termine ed il desiderio delle imprese siderurgiche di mantenere in funzione i vecchi impianti rimanderanno nel tempo le ristrutturazioni. Ed è probabile che le aziende non abbandonino i progetti di espansione e di costruzione di nuovi impianti.

 

 

I piccoli sono i più penalizzati

Tutto questo dipinge un quadro nel quale i dazi danneggiano la competitività nel lungo termine dell’industria siderurgica americana. Non solo i dazi non anno prodotto l’effetto sperato, ma hanno anche fatto arrabbiare molti utilizzatori e piccoli produttori, che accusano l’amministrazione Trump di favorire i grandi gruppi siderurgici nazionali. Di fronte a queste rimostranze, il Dipartimento del Commercio ha consentito agli utilizzatori di chiedere l’esclusione dal dazio del 25%, dimostrando che il tipo di acciaio che stanno importando non è disponibile in quantità sufficiente negli USA. La maggior parte delle richieste è stata approvata, a meno che non sia stata presentata l’obiezione da un altro produttore di acciaio statunitense, sostenendo che il prodotto può essere fornito a livello nazionale. Fino ad agosto 2019 il 59% di tutte le obiezioni era stato presentato da due sole società: la United States Steel e la Nucor Corp, entrambe sostenitrici dei dazi. Nucor ha contribuito a promuovere una documentazione critica sulla Cina realizzata da Peter Navarro, consulente commerciale di Trump. E Dan Di Micco, che faceva parte del team di Trump, un tempo era l’amministratore delegato di Nucor.

Le aziende siderurgiche più piccole alimentano il fatto che l’iter per decidere sulle esenzioni tariffarie è costato loro molti milioni di dollari. NLMK Steel, un’azienda di laminazione che impiega 1.200 lavoratori negli stabilimenti di Sharon, in Pennsilvania, e di Gary, nell’Indiana, acquista bramme dalla casa madre in Russia e le trasforma in coil, che vengono venduti ai settori delle costruzioni e della meccanica.

Il presidente ha affermato che non esiste un vero e proprio mercato interno delle bramme. Le acciaierie che le producono le utilizzano per le loro esigenze, per la produzione di coils da vendere agli utenti finali, il che significa che NLMK non può rifornirsi a sufficienza di bramme nel mercato domestico, nonostante gli USA e altri affermino il contrario. Nel 2019 NLMK ha pagato 170 milioni dollari di dazi per le bramme importate, costi che hanno ridotto i margini e costretto l’azienda a minacciare licenziamenti e a ridurre le ore di lavoro.

Come NLMK, anche Californian Steel Industry è un laminatoio, con 930 dipendenti, che acquista la maggior parte delle bramme dal Brasile. L’amministratore delegato ha dichiarato che la sua azienda ha presentato nel 2019 ben 266 richieste di esclusione dai dazi per le importazioni dall’estero, ma tutte sono state rigettate. I dazi sono costati alla Californian Steel circa 21 milioni di dollari, causando una perdita che ha bloccato le assunzioni.

Nucor, che gestisce divers acciaierie con forno elettrico, ha beneficiato in modo sostanziale dei dazi, annunciando oltre 2 miliardi di dollari di nuovi investimenti a partire dalla metà del 2018. Tuttavia i suoi utili nel 2019 sono fortemente diminuiti rispetto all’anno precedente, mentre la United Staes Steel ha annunciato perdite nel terzo e quarto trimestre del 2019. E di conseguenza, la quotazione in borsa delle loro azioni ha registrato una significativa flessione.

 

fonte: Siderweb.com