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Trump, alla vigilia del vertice di Helsinki dove ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin, è arrivato ad affermare che il vero nemico degli USA è l’Europa, che sarebbe rea, secondo il presidente americano, di una politica commerciale sleale attraverso la manipolazione della valuta.

 

Non a caso immediatamente dopo aver messo i dazi su alluminio (al 10%) e acciaio (al 25%) proveniente dal Vecchio Continente, Trump ha immediatamente rilanciato l’ipotesi di mettere barriere anche sull’import di automobili europee (con dazi al 25%). 

L’Europa non è stata a guardare è ha colpito gli USA con dazi su prodotti come i Levi’s, le Harley Davidson, il bourbon del Kentucky per un valore di 3,3 miliardi (e se vi dovesse essere un’applicazione statunitense di nuove tariffe sull’automotive sono pronte misure per 20 miliardi di euro).

In ogni caso Juncker al termine del faccia a faccia è parso soddisfatto, tanto da aver dichiarato: «Ero venuto qui per trovare un’intesa e l’abbiamo trovata. L’obiettivo è quello di zero tariffe, zero barriere commerciali non tariffarie e zero sussidi sui beni industriali che non siano auto». Ci sarebbe anche un accordo di massima per riformare l’Organizzazione Mondiale del Commercio, una struttura che Trump ha fin da subito dimostrato di disprezzare e di considerare quasi un inutile limite alla propria volontà di destrutturare le relazioni commerciali globali. In ogni caso gli Stati Uniti proprio alla vigilia dell’incontro tra il tycoon e Juncker hanno annunciato l’intenzione di presentare un ricorso al WTO per dazi illegali contro Cina, Unione europea, Canada, Messico e Turchia, in sostanza avrebbero messo in campo “misure ritorsive” contro gli USA dopo la stretta su acciaio e alluminio.

 

La questione energetica
In ogni caso di fronte agli USA l’Europa alla fine ha sì ottenuto un’intesa, ma si tratta di una mezza sconfitta. Perché nel momento in cui Juncker parla di una «maggiore cooperazione in campo energetico» significa che l’Europa si impegna a comprare il gas dagli Stati Uniti. Ed è forse questo uno dei principali terreni di scontro su cui Washington e Mosca non riescono a trovare un punto d’incontro e per cui anche Trump e Putin sono parsi distanti nonostante i “salamelecchi” di Helsinki. Il mercato energetico europeo fa gola anche agli americani che non a caso negli ultimi mesi hanno violentemente attaccato il North Stream, il gasdotto che dovrebbe collegare la Russia al nord della Germania bypassando l’Ucraina e che sarà in grado di rifornire il centro Europa. In sostanza, Washington chiede da un lato che venga acquistato il suo gas e dall’altro di sostenere la Trans Adriatic Pipeline, meglio noto come Tap (e che in Italia sta causando non pochi problemi nel suo punto di approdo in Puglia – non a caso il Dipartimento di Stato ha invitato il nostro Paese a non ostacolare il progetto). Il gasdotto che parte da Baku non ha un finanziamento diretto americano, ma si inserisce nella strategia competitiva americana nei confronti della Russia.

 

La soia del Midwest
Non solo, a Washington Jucker ha dovuto rilanciare anche un altro impegno: maggiori acquisti di soia americana, settore nevralgico per Trump perché viene coltivata in stati dove risiede una buona fetta dei suoi elettori. L’azione va a colpire il Midwest dove 8 stati su 10 nel 2016 hanno scelto Trump: Nebraska, Indiana, Missouri, Ohio, South Dakota, North Dakota, Kansas e Iowa. Con quest’ultimo che è stato scelto come stato simbolo per le proteste che si sono scatenate tra gli agricoltori per il rischio di una guerra commerciale con la Cina. Non è bastato nemmeno il varo di un piano federale di aiuti ai coltivatori per 12 miliardi di dollari. La soia americana era nel mirino di Pechino che, come rappresaglia ai dazi messi dagli Usa sui suoi prodotti, aveva deciso di colpire questo prodotto molto “sensibile” per Trump. Ma il caso dell’Iowa è emblematico degli effetti della guerra commerciale che Trump ha ingaggiato con la Cina: il piccolo stato già colpito dai dazi al 25% introdotti ad aprile sulla carne di maiale ora teme di essere travolto dai dazi sulla soia visto che da solo esporta in terra cinese soia per due miliardi di dollari. Ecco quindi che Trump chiede agli europei di acquistare la soia americana: una mossa abile anche in vista delle elezioni di medio termine che si terranno a Novembre e per cui i repubblicani temono soprattutto di perdere il Senato (dove oggi i rapporti di forza sono molto tirati 51-49).

In sostanza l’Europa ha preferito intraprendere una linea politica pragmatica piuttosto che andare allo scontro frontale con gli USA. Juncker ha accontentato le richieste di Washington, ottenendo l’impegno vago da parte di Trump di togliere in futuro le barriere su acciaio e alluminio. Saggiamente si potrebbe dire, almeno in una prospettiva di lungo periodo. Una guerra commerciale che non è ancora scongiurata avrebbe degli esiti imprevedibili, con l’unico risultato certo di una contrazione della crescita del Pil globale e degli scambi commerciali. Uno scenario che soprattutto l’Europa, costantemente ossessionata dalla crescita, vuole scongiurare a tutti i costi. Allo stesso tempo Berlino ha subito salutato con favore il mezzo accordo di Washington sperando di potersi salvare dai dazi sulle automobili. Ma i vertici europei dovrebbe essere più cauti nel cantare vittoria, Trump ha dimostrato di essere imprevedibile e incoerente, sia con i presunti alleati sia con gli avversari.

 

 

 

 

Fonte: siderweb.com

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