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L’emergenza-coronavirus è stata ed è caratterizzata, tra le altre cose, da un serrato confronto tra il governo e le parti sociali, ma anche tra i sindacati e le associazioni datoriali e, soprattutto, dal braccio di ferro tra l’Italia e gli altri partner europei. Come sempre la ricerca della mediazione non permette che tutti ottengano il massimo di quanto richiesto. siderweb ne ha parlato con il segretario generale della UIL, Carmelo Barbagallo.

A suo parere le ultime decisioni del governo sono adeguate, soprattutto pensando al mondo delle imprese e del lavoro, rispetto all’evoluzione dell’emergenza Covid-19 nel nostro Paese?

In queste drammatiche settimane, abbiamo avuto un confronto molto serrato con il governo sul merito delle questioni che riguardano il lavoro. Abbiamo posto al centro dell’attenzione il tema della sicurezza dei lavoratori e, più in generale, dei pensionati e di tutti i cittadini del nostro Paese. In particolare, abbiamo raggiunto un’intesa molto importante, tradotta in un Protocollo per la sicurezza firmato lo scorso 14 marzo dal governo, dai sindacati e dalle associazioni imprenditoriali, che stabilisce una serie di garanzie, a partire dall’uso dei dispositivi di protezione individuale. Inoltre, abbiamo chiesto e ottenuto la revisione dell’elenco delle attività essenziali, per il momentaneo blocco di alcune produzioni non fondamentali in questa fase, consentendo così di rispettare l’invito a stare a casa a quante più persone possibili.

Anche sul fronte degli ammortizzatori sociali, il governo ha accolto alcune nostre richieste e ha ampliato la platea dei lavoratori tutelati. Importante è anche il Protocollo sottoscritto con l’Abi, in virtù del quale le banche potranno anticipare ai lavoratori il trattamento di cassa integrazione. Certo, c’è ancora da fare, ma abbiamo puntato a far prevalere la sicurezza sul profitto e credo che, pur scontando qualche limite, sia stato fatto un ottimo lavoro.

Cosa manca, soprattutto? Quali sono gli aspetti che non sono stati valutati nel modo giusto o che vengono addirittura trascurati completamente?

Il problema è capire se quelle norme, e per quel che ci riguarda, in particolare, quelle del Protocollo per la sicurezza, siano state compiutamente applicate dappertutto. Certo, ci sono situazioni in cui c’è carenza degli strumenti necessari, a partire dai dispositivi di protezione individuale, e sarebbe opportuno attivarsi perché siano realmente messi a disposizione, innanzitutto, di coloro che svolgendo attività essenziali sono costretti a restare nel loro posto di lavoro. Le persone vanno protette concretamente: sui territori e nelle categorie il sindacato si sta battendo perché ciò accada ovunque.

Sembra di cogliere un nuovo spirito “unitario” da parte delle organizzazioni sindacali: potremmo dire che l’emergenza lo ha fatto riscoprire?

In queste battaglie si vince solo se si è uniti. Il nemico che stiamo combattendo è invisibile e subdolo e possiamo sconfiggerlo solo facendo ciascuno la propria parte in sintonia con tutti gli altri. È una situazione inedita anche per il sindacato: mai avremmo immaginato di dover fare i conti con questa realtà così grave e del tutto inaspettata. Insieme possiamo riuscire a superare anche questa durissima prova.

Con le controparti datoriali, invece, i rapporti non sembrano per nulla più semplici.

Il sistema delle imprese è preoccupato per i riflessi drammatici che potranno esserci sull’economia e dunque sulla loro attività. È anche una nostra forte preoccupazione, perché se le imprese vanno in difficoltà, le conseguenze le subiscono innanzitutto i lavoratori. Bisogna capire però che, lì dove possibile, è necessario fermarsi, ora, per ripartire poi con più slancio dopo. Adesso, la priorità è la vita e la sicurezza delle persone. Una rete di garanzie è stata già efficacemente approntata. Noi continueremo a batterci perché sia ulteriormente migliorata, così da evitare tracolli, e affinché vengano subito poste le condizioni per costruire la ripresa quando l’emergenza sarà superata.

Quella che si sta combattendo è una guerra che, però e per fortuna, finirà. Lascerà certamente delle macerie sulle quali si dovrà ricostruire. Quali saranno, secondo lei, i punti su cui focalizzarsi?

Intanto, vorrei subito dire che quando questa guerra finirà, non bisognerà dimenticarsi degli eroi che la stanno combattendo in prima linea, anche a costo della loro stessa vita. Penso, ovviamente, a tutto il personale sanitario che è letteralmente in trincea e a cui va il nostro incondizionato sostegno e la profonda gratitudine del popolo italiano. Molti di loro, da eroi, hanno pagato con la vita questo servizio al Paese e noi ci stringiamo in doloroso silenzio al fianco dei parenti di tutte le vittime. Penso anche a tutti quegli altri lavoratori che operano in settori fondamentali per la protezione, la sicurezza, la sopravvivenza e la sussistenza di ciascuno di noi. Per tutti costoro, e anche per gli altri che sono in attività, abbiamo chiesto, intanto, che si incrementi il premio economico previsto dal governo.

Quando questa emergenza finirà, però, bisognerà che ci siano adeguati riconoscimenti che rivendicheremo per via contrattuale. Non ce la si potrà più cavare solo con gli elogi e le pacche sulle spalle. Inoltre, bisognerà concentrarsi sulla ripresa e, a quel punto, la riduzione delle tasse a lavoratori dipendenti e pensionati, da un lato, e gli investimenti produttivi e in infrastrutture materiali e immateriali, dall’altro, saranno indispensabili e non più rinviabili. Proprio perché sarà come uscire da una guerra, bisognerà puntare su un’economia post bellica, da ricostruzione, e le basi dovremo porle sin da adesso. L’Europa è avvertita: la politica dell’austerità deve andare definitivamente in soffitta.

 

fonte: SIDERWEB.COM

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