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Evoluzione del commercio internazionale dell’acciaio, tenuta dei prezzi, rinnovo della salvaguardia in Ue e impatto della cancellazione delle agevolazioni fiscali cinesi sull’export di oltre 140 prodotti siderurgici. Sono questi alcuni dei temi che siderweb ha affrontato nell’intervista con Alessandro Fossati, CEO di Gamma Trade SA.

Il 2021 si sta rivelando un anno veramente particolare per il settore siderurgico. I prezzi salgono ogni settimana, ma le incertezze legate al commercio internazionale rimangono. Come vedi il mercato evolversi nella seconda metà dell’anno?
Per prevedere il secondo semestre credo sia utile analizzare quali sono le dinamiche che ci hanno portato a questa situazione e capire per quanto tempo saranno ancora in gioco. Il driver del prezzo dell’acciaio in Europa e nelle economie mature è il settore automotive, che consuma circa il 25% del totale. Dal 2014 al 2018 questo settore ha costantemente aumentato i consumi di acciaio trainando la domanda apparente europea dai 162 milioni di tonnellate del 2014 ai 177 del 2018. Il forte rallentamento dell’auto nell’autunno del 2018 ha portato le acciaierie a correggere le produzioni in maniera importante nel quarto trimestre del 2019 arrivando ad un consumo apparente di 164 milioni di tonnellate nell’intero anno. Quando poco più di un anno fa il Covid è apparso con tutta la sua virulenza le acciaierie stavano già producendo poco, soprattutto sui piani, ed hanno ulteriormente ridotto l’output sia per difficoltà oggettive legate proprio al Covid che per le incertezze sul futuro. Il risultato è stata una disponibilità di acciaio di 138 milioni di tonnellate a fronte di un consumo in linea, almeno sui piani, ai livelli 2019 generando una progressiva erosione delle scorte, un allungamento dei tempi di consegna ed in alcuni casi il forte rallentamento della manifattura dovuto alla mancanza di materiale. In un contesto di mercato in cui dal 2015 la Commissione europea ha eretto importanti misure di protezionismo anche le importazioni sono state insufficienti per riequilibrare la domanda e l’offerta.
Il futuro del mercato dipenderà quindi dalla capacità della siderurgia europea, soprattutto sui coils, di riguadagnare i livelli di produzione del 2018. Tuttavia, ciò non avverrà almeno per tutto il 2021 in ragione di difficoltà oggettive e scelte aziendali a volte discutibili. Una variabile potrebbe essere un eventuale aumento delle importazioni che però è fortemente limitato sia dal protezionismo che dalla concreta disponibilità di allocazioni compromessa anche dalla riduzione dell’export cinese passato da circa 120 milioni di tonnellate nel 2016 a 55 nel 2020 ed in procinto di ridursi ulteriormente.
Ultimo elemento da tenere d’occhio, però, sarà l’eventuale riduzione della domanda strutturale interna che temo avverrà nel medio termine per effetto di una delocalizzazione delle produzioni di auto, elettrodomestici ed altri prodotti ad alto contenuto di acciaio, verso zone del mondo dove la catena di approvvigionamento dell’acciaio e delle altre componentistiche è certamente più fluida ed efficiente.

Edwin Basson di worldsteel ha confermato di recente che la regionalizzazione del mercato siderurgico dovrebbe continuare, non si intravedono cambiamenti. Come pensi si evolverà il tema della salvaguardia in Europa? Esiste una possibilità che le misure vengano rilassate?
La regionalizzazione del mercato siderurgico rappresenta un vantaggio competitivo per chi ha investito in questo settore negli ultimi anni, mentre per l’Europa rischia di rappresentare un ulteriore fattore di perdita di competitività della nostra economia a dispetto dell’Asia. In Europa abbiamo certamente acciaierie che sono delle eccellenze a livello mondiale e proprio in Italia ne abbiamo molti esempi. Tuttavia, una buona parte degli stabilimenti europei, soprattutto di coils, per varie ragioni soffre di competitività. La tutela dell’industria siderurgica è un dovere per qualunque economia del mondo e soprattutto per chi, come noi, ricava il 15% del PIL dalla manifattura. La protezione di questo settore però è qualcosa di diverso che purtroppo sta danneggiando la manifattura e la distribuzione ed allontana quel processo di rinnovamento industriale di cui è evidente il bisogno. In questo momento specifico di mercato sarebbe pertanto auspicabile da un lato un sostegno pubblico al rinnovamento della siderurgia europea, difficilmente i privati possono fare investimenti miliardari in un settore fortemente ciclico, magari nella costruzione di nuovi impianti anziché nell’ammodernamento di quelli esistenti e, dall’altro, una moratoria sulle misure di protezionismo con particolare riferimento ai dazi sui coils a caldo, freddo e zincato cinesi e russi per poter dare un po’ di respiro a distributori, tubisti, rilaminatori e grandi utilizzatori europei.
Circa la salvaguardia le minacce di un re-routing dell’acciaio destinato agli USA in seguito all’adozione della 232 non si sono concretizzate; la 232 è stata nel mentre depotenziata in misura prevalente ed in ogni caso il meccanismo di determinazione delle quote si basa su un periodo storico che non può rappresentare le esigenze attuali. Non comprendo pertanto le ragioni di un rinnovo di questo istituto sebbene creda che vedremo solamente un ammorbidimento dello stesso, anche perché la Commissione europea non è stata sensibilizzata in maniera efficace da quegli utilizzatori che hanno importante voce in capitolo.

L’annuncio dell’eliminazione dei rebates per l’export dalla Cina in che modo impatterà il mercato globale? Quale saranno gli effetti sul mercato europeo?
Le aziende cinesi che esportano vanno a debito di IVA nella misura del 13% e solamente attestando l’avvenuta esportazione dell’acciaio ottengono un credito IVA che compensa l’imposta non dovuta mancando il requisito della territorialità; esattamente come avviene alle nostre latitudini ma con un meccanismo più complesso. Pertanto, la cancellazione del rimborso dell’IVA è un dazio all’esportazione vero e proprio, il cui scopo è quello di ridurre le produzioni e l’inquinamento cinese a scapito dell’export già drammaticamente ridotto di circa 65 milioni di tonnellate negli ultimi 4 anni.
Se è vero che il mercato ha già scontato questa decisione in termini di prezzi non possiamo negare che sia una brutta notizia per l’Europa. Una riduzione dell’export cinese aumenterà la domanda asiatica ed aumenterà le difficoltà di approvvigionamento da importanti partner come Corea, India, Vietnam e la stessa Turchia. Teniamo conto che il consumo pro-capite di un’economia matura come quella europea è circa cinque volte superiore a quello di India o Brasile.

Dopo la rincorsa dei prezzi degli ultimi sei mesi, credi che il mercato dovrà correggere in modo radicale nel prossimo futuro o sta entrando in un nuovo ciclo di prezzi medi molto elevati?
In un’economia di mercato il prezzo dell’acciaio è l’espressione del livello di efficienza della filiera siderurgica. A lungo siamo stati abituati ad un livello di produttività tale da esprimere quotazioni basse in relazione al contenuto tecnologico ed agli investimenti, sia di denaro che di capitale umano che di “ambiente”, richiesti dalla produzione e distribuzione dell’acciaio. A testimoniare quanto appena espresso invito a pensare al prezzo dell’olio di oliva all’ingrosso che si attesta oltre i 3.000 euro a tonnellata. La perdita di efficienza legata ad un minor tasso di utilizzo degli impianti, a vincoli ambientali, a forme di sussidio che non stimolano la ripresa delle produzioni, al protezionismo che non stimola investimenti nell’aumento della produttività rappresentano una perdita di efficienza che si traduce in un aumento dei prezzi. Per riavere un’inversione di tendenza delle quotazioni dovremo prima assistere ad un recupero dell’efficienza che probabilmente avverrà, solamente in parte, quando avremo risolto la questione Covid.

 

FONTE: SIDEWEB.COM

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