La tigre del Mediterraneo. La Turchia, grazie alla fortissima espansione in campo siderurgico negli ultimi anni, che l’ha portata a scalare la classifica dei produttori mondiali di acciaio fino all’8° posto, è ormai lo stato più attivo in ambito siderurgico nel «Mare Nostrum», ricco di potenzialità ma anche di criticità. L’Ufficio Studi di siderweb ha analizzato i dati del comparto dell’acciaio del Paese asiatico nel 2017, cercando eventuali punti di contatto con la situazione italiana.
Produzione: una locomotiva in corsa
La produzione siderurgica turca, nel 2017, è stata pari a 37,523 milioni di tonnellate, con un incremento del 13,1% rispetto al livello raggiunto nel 2016. La produzione turca, nel 2017, è avvenuta per il 30,8% attraverso l’altoforno e per il 69,2% tramite forno elettrico.
La Turchia è l’ottavo produttore mondiale di acciaio e, l’anno scorso, ha fatto registrare il maggior incremento, in termini percentuali, nella «top ten» globale. Attualmente il 2,2% del totale dell’acciaio prodotto nel mondo è sfornato dalle acciaierie anatoliche, contro il 2,6% della Germania e l’1,4% dell’Italia. Guardando i dati nel lungo periodo, si nota che la progressione della Turchia è spettacolare: nel 1990 l’output era di 9,4 milioni di tonnellate, nel 2000 si è saliti a 14,3 milioni di tonnellate (+52% rispetto al 1990), nel 2010 a 29,1 milioni di tonnellate (+103% rispetto al 2000) e nel 2017, appunto, a 37,5 milioni di tonnellate (+29% rispetto al 2010). In poco meno di quarant’anni, quindi, la produzione turca è quasi quadruplicata, salendo del 297%, contro il +119% dell’output globale nel medesimo periodo. E, dato il tasso di crescita a due cifre fatto registrare nel 2017, la locomotiva turca sembra tutt’altro che intenzionata a rallentare.
Materie prime: una fame mai placata
La Turchia è uno dei maggiori consumatori globali di rottame. Per far funzionare le acciaierie turche, l’anno scorso, sono state necessarie 30,509 milioni di tonnellate di rottame, delle quali 28,337 milioni fuse dai forni elettrici e 2,173 milioni di tonnellate dagli altiforni. Come è ormai noto, la Turchia non è autosufficiente per ciò che concerne le materie prime: ogni anno, infatti, i siderurgici anatolici acquistano all’estero più di 31,5 milioni di tonnellate di minerale, rottame, ferroleghe e ghisa. In particolare, la raccolta interna di rottame, in Turchia, è stata pari a poco più di 9,5 milioni di tonnellate nel 2017, mentre è stato necessario importare oltre 20,9 milioni di tonnellate di rottame, rendendo il Paese il maggior acquirente globale di rottame. A fianco di questi fortissimi acquisti, i clienti turchi hanno comprato 10,963 milioni di tonnellate di minerale ferroso, 1,013 milioni di tonnellate di ghisa e 510.962 tonnellate di ferroleghe. Lo squilibrio dal punto di vista del commercio estero di rottame non sembra destinato ad essere superato nel medio-lungo periodo, anche se è lecito attendersi un incremento della generazione interna di rottame da parte della Turchia.
Import-export: volumi totali equilibrati
Un’esportatrice netta di acciaio. Ma per volumi contenuti. Questa, in breve, la situazione del commercio estero turco di semilavorati e prodotti siderurgici nel 2017. L’anno scorso le esportazioni sono state superiori alle importazioni per circa mezzo milione di tonnellate: le prime sono ammontate a 16,302 milioni di tonnellate, le seconde 15,834 milioni di tonnellate. Entrando maggiormente nel dettaglio, si nota che la Turchia è un’importatrice netta di semilavorati: a fronte di importazioni per 4,8 milioni di tonnellate, si registrano esportazioni di 857.795 tonnellate, per uno squilibrio di circa 4 milioni di tonnellate. Lo stesso vale anche per i prodotti piani, con un import di 9,017 milioni di tonnellate ed un export di 4,288 milioni di tonnellate. Diversa, invece, la situazione per i prodotti lunghi, dove a fronte di esportazioni di 9,272 milioni di tonnellate (delle quali 5,446 milioni di tonnellate di tondo), le importazioni sono state limitate a 1,444 milioni di tonnellate, e per i tubi, dove si registra un surplus commerciale di 1,345 milioni di tonnellate.
«Italiani e turchi, una faccia una razza»
Analizzando i dati della siderurgia turca nel 2017 si nota un comparto nel quale la produzione sta correndo a perdifiato quasi da 40 anni, i consumi (38,386 milioni di tonnellate) sono allineati all’output ed il commercio estero di prodotti finiti è sostanzialmente equilibrato. Sul versante delle materie prime, invece, c’è un netto squilibrio in quanto il Paese non genera una quantità sufficiente né di rottame né di minerale ferroso per consentire alle acciaierie di lavorare a pieno regime.
Guardando questi numeri e confrontandoli con quelli italiani, si nota una certa somiglianza tra alcuni tratti della siderurgia anatolica e di quella tricolore. Entrambi gli stati, dal punto di vista produttivo, sono dominati dalla tecnologia del forno elettrico e sono importatori netti di materie prime, in particolare di rottame. Per ciò che concerne i semilavorati ed i prodotti finiti, sia l’Italia sia la Turchia fanno registrare un deficit nel commercio estero di semilavorati, in particolare di bramme, e di prodotti piani, e sono esportatori netti di lunghi e di tubi (soprattutto tubi saldati). Commentando queste somiglianze con una citazione cinematografica, si potrebbe dire, prendendo in prestito una battuta dal film di Gabriele Salvatores Mediterraneo, «Italiani e turchi, una faccia una razza». Le analogie strutturali, come visto, sono forti, tali da far percepire i due Paesi, ad un primo acchito, come gemelli. Ma, oltre a ciò, vanno anche segnalate alcune differenze marcate. Differenze che sono quasi tutte a favore della Turchia, la cui siderurgia è inserita in un mercato interno in salute ed in forte espansione. Inoltre, geograficamente, i mercati di sbocco per l’acciaio «Made in Turkey» sono anch’essi in crescita ed a sufficiente distanza dalla Cina per rendere i produttori turchi molto competitivi anche sul fronte dei prezzi. Infine, le acciaierie turche, negli ultimi anni, hanno fatto registrare ottimi risultati dal punto di vista finanziario e, mediamente, appaiono in buona salute. Dal punto di vista della qualità, invece, l’Italia mostra migliori risultati, con produzioni ed esportazioni, in termini generali, di maggior valore aggiunto.
Forse, quindi, i settori siderurgici italiano e turco non sono proprio gemelli, ma assomigliano più a fratelli di età diverse: più anziano (e stabile) l’italiano e più giovane e dinamico il turco. I due “fratelli” dovranno però confrontarsi con un mercato che tende a diventare comune e nel quale, per sopravvivere e prosperare, dovranno far fronte a criticità simili, che dovranno affrontare e risolvere in modi diversi. La partita, anche se uno dei due competitor appare più in salute, è ancora aperta.
Fonte: siderweb.com