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Turbo &stop. I dazi antidumping – soprattutto sulla Cina – producono da sempre una doppia reazione: prima un’accelerata delle vendite, poi una brusca frenata. Con spegnimento del motore. A tutto vantaggio della produzione “Made in Ue”. Il solo effetto-annuncio mette, da sempre, il turbo all’export dei prodotti “sotto osservazione”(prima che si chiudano i cancelli e sia troppo tardi). Ma già 5 mesi prima del debutto dei dazi provvisori, gli ordini normalmente si azzerano. E se i conti si potranno fare solo a fine anno, non stupisce che il lungo braccio di ferro tra Ue e Cina che ha in questi mesi moltiplicato i dazi antidumping sull’import in Europa di laminati a freddo e a caldo, possa aver giocato la sua parte nel drastico calo dell’export di Pechino diffuso ieri.

Secondo dati della dogana cinese, a settembre, le vendite di acciaio sono calate al livello più basso da febbraio. Ovvero, a settembre il Paese ha spedito 8,8 milioni di tonnellate rispetto ai 9 milioni di agosto e al record di 11,2 milioni dell’anno precedente. «Un rallentamento – come riportano alcuni analisti cinesi all’agenzia di stampa Bloomberg – dovuto anche all’aumento delle frizioni commerciali, sia verso la Ue che verso gli Usa». A maggio, Washington – che ha procedure di investigation molto rapide e aliquote sanzionatorie assai più alte di quelle di Bruxelles – ha alzato a più del 500%, ad esempio, i dazi sull’acciaio laminato a freddo, utilizzato per la produzione di auto e lavatrici, con l’obiettivo proprio di rallentare l’ingresso sul mercato globale di enormi quantità di acciaio cinese. «In Europa – ha spiegato Tommaso Sandrini, presidente di Assofermet acciai (l’associazione dei commercianti e distributori di prodotti siderurgici) – dall’avvio di una procedura di infrazione alla decisione di un dazio provvisorio passano circa 9 mesi, 15 per arrivare a quello definitivo. Accade quindi che all’avvio dell’istruttoria ci sia un aumento esponenziale degli ordini sino a 2 mesi dopo, considerando che da ordinativo a consegna ne passano circa cinque. Poi il flusso, anche senza dazio, va a spegnersi e gli ordini si interrompono quasi improvvisamente, per il timore di ritrovarsi merce acquistata ferma in dogana». In realtà, questa strategia di passare da 100 a zero in poche settimane è molto caratteristica del rapporto con la Cina. «Quando si minacciano dazi verso i prodotti, ad esempio, provenienti dalla Corea del Sud o dall’Iran – spiega ancora Sandrini – questi Paesi, relativamente organizzati, tendono ad alzare un po’ i prezzi o a ridurre le offerte. Cosa che non avviene in Cina, dove vi è una forte frammentazione del mercato e la politica è tradizionalmente più “aggressiva”. Ora che, ad esempio, si attende una procedura di investigazione sull’acciaio zincato, la Cina continua ad offrire tanto. Seguirà una forte accelerazione degli acquisti e poi uno spegnimento in tempi brevi». Chi ne trarrà più vantaggio? «Il rallentamento dell’export siderurgico cinese – ha concluso Sandrini – sarà a vantaggio della produzione europea: Italia, Germania, Francia, ma anche Belgio. La Russia mantiene una produzione stabile e si rivolge anche ad altri mercati, verso la Polonia e l’area caucasica. L’Ucraina risente della sua grave tensione geopolitica e di bassa qualità del prodotto». Tra misure antidumping, anti-sussidio e di salvaguardia, sono attualmente 62 le restrizioni in vigore decise dall’Unione europea, in generale, nei confronti di prodotti “Made in China” (e non solo). Di queste, 20 riguardano propriamente, la siderurgia, di cui 15 su prodotti provenienti dalla Cina. Una levata di scudi senza precedenti. Certo, la siderurgia è una grande “famiglia” e i dazi ne tutelano solo una parte. La Cina resta, comunque il nostro primo fornitore. Secondo gli ultimi dati di Federacciai, tra gennaio e maggio l’Italia ha importato 1,1 milioni di tonnellate da Pechino (+34,3% rispetto allo stesso periodo 2015), seguita da Corea del Sud (402mila tonnellate, +58%) e Russia (343mila tonnellate, -27,3%). Ma anche Iran, Ucraina e Turchia. L’Italia compra da questi sei paesi più del 60% dell’acciaio
complessivamente importato.

 

 

Fonte: il Sole 24 Ore

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