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Le politiche restrittive all’esportazione di rottami ferrosi sono applicate da 43 Paesi nel mondo. Con la prevista adozione delle modifiche al regolamento sulle spedizioni di rifiuti nell’Ue a gennaio 2023, nonché analoghe misure previste in Messico, saliranno a 71 i Paesi che attueranno tali limitazioni. Quelli che già applicano o applicheranno barriere all’esportazione di rottami ferrosi rappresentano il 77% della produzione globale di acciaio grezzo.  L’export di rottame è maggiormente limitato in Africa, Medio Oriente e Asia. Si tratta di Paesi con un consumo di acciaio storicamente basso e risorse di rottame insufficienti rispetto al consumo interno.

Il dazio all’esportazione è lo strumento più utilizzato per limitare i flussi in uscita, perché offre maggiore flessibilità. Ma i divieti di esportazione vengono utilizzati quasi con la stessa frequenza dei dazi, circa una misura su tre. L’ultima tendenza è che i Paesi sviluppati, per esempio l’Ue, stanno implementando attivamente restrizioni all’esportazione di rottame per raggiungere gli obiettivi climatici, perché la produzione di acciaio utilizzando rottame come materia prima principale comporta un’intensità di carbonio fino a sei volte inferiore.

La situazione nell’Unione europea

L’Unione prevede di ridurre le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 e di raggiungere l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050. Uno dei componenti chiave nella produzione di acciaio verde è il rottame metallico. Ogni tonnellata di acciaio riciclato evita infatti 1,5 tonnellate di emissioni di CO2. Pertanto, esportare rottame verso Paesi terzi significa perdere un enorme potenziale di risparmio di risorse naturali, energia ed emissioni di CO2 per l’Ue e globalmente per i molti Paesi con standard inferiori rispetto all’Europa.

Nel 2021, l’esportazione complessiva di rottami metallici fuori dall’Ue è stata di 19,5 milioni di tonnellate, ovvero il 59% di tutte le esportazioni di rifiuti dall’Unione. Rispetto al 2015, le esportazioni di rottame sono aumentate di oltre due volte. La Turchia è stato il principale paese consumatore del rottame proveniente dall’Ue. Questo fatto è grave per due ragioni. In primo luogo, l’Ue sta aumentando le esportazioni di materie prime secondarie, mentre cresce la domanda di materie prime. In secondo luogo, la maggior parte del rottame esportato dall’Ue viene inviato dove non c’è una corretta gestione dei rifiuti e poca o nessuna “ambizione climatica”.

È molto importante, quindi, che il Parlamento europeo presti attenzione a questi rischi il prima possibile. I produttori di acciaio europei sono decisi a fare tutto il possibile per garantire che la revisione del regolamento sulle spedizioni di rifiuti abbia successo. Eurofer aveva già proposto di fermare l’esportazione di rottami ferrosi verso i Paesi che non soddisfano gli standard ambientali e sociali dell’Ue. Le attuali disposizioni sull’esportazione dei rifiuti sono chiaramente insufficienti e destinate a diventare un’opportunità persa per il clima, l’industria, i cittadini e l’Ue nel suo complesso. Ci troviamo in una situazione assurda in cui l’Ue fissa standard ambientali molto elevati e obiettivi di economia circolare per il mercato interno, mentre milioni di tonnellate di preziose materie prime secondarie vengono esportate in Paesi dove tali standard e gli obiettivi non sono fissati con la stessa “severità”.

La proposta di revisione del regolamento europeo sull’esportazione di rifiuti

Sulla proposta di revisione del regolamento europeo sulle esportazioni di rifiuti avanzata circa un anno fa dalla Commissione europea si scontrano due posizioni. Da un lato i produttori europei di materie riciclate, soprattutto carta da macero e rottame di ferro; dall’altro gli utilizzatori, ovvero acciaierie e cartiere. In mezzo la nuova disciplina sulle esportazioni, che prevede forti limitazioni all’invio dei rifiuti verso Paesi terzi, soprattutto non OCSE, con l’obiettivo, da un lato, di contrastare il traffico illegale, e dall’altro, almeno nelle intenzioni di Bruxelles, di rilanciare l’economia circolare entro i confini dell’Unione.

Un potenziale boomerang, sostengono i riciclatori, che se da un lato appoggiano la scelta della Commissione di limitare le spedizioni, dall’altro invitano a scongiurare il rischio che le restrizioni indiscriminate alle esportazioni possano minare la sostenibilità economica dell’attività di riciclaggio. Secondo i riciclatori, infatti, l’approccio adottato dalla Commissione non fa alcuna differenza tra i rifiuti problematici e le materie prime secondarie, o end of waste, derivanti dal riciclo. Materiali ad alto valore aggiunto, come i metalli, che i riciclatori ricavano dai rifiuti in quantità crescente, anche per l’incremento delle raccolte differenziate, ma che il mercato europeo oggi assorbe solo in parte. Appena il 12% delle materie prime utilizzate dall’industria europea proviene infatti dal riciclo, mentre tutto quello che l’Ue non assorbe viene inviato ai Paesi terzi. Di fronte ad un simile squilibrio tra domanda ed offerta interna, il timore dei riciclatori è che il divieto all’export si traduca in un surplus sul mercato dell’Unione e in un conseguente crollo delle quotazioni dei materiali tale da compromettere la stabilità economica delle attività di riciclo. Da qui la richiesta di introdurre in parallelo con le nuove misure sull’export, se queste resteranno quelle designate dall’esecutivo di Bruxelles, anche obiettivi minimi di contenuto riciclato nelle nuove produzioni.

Sul fronte opposto della barricata, acciaierie e cartiere plaudono invece all’impostazione adottata dalla Commissione, considerando il giro di vite sulle esportazioni di materia riciclata come atto imprescindibile per garantire la disponibilità sul mercato interno necessaria ad accompagnare la transizione circolare dell’industria europea. Nel 2021 in Europa circa il 74% della carta ed il 58% dell’acciaio sono stati realizzati utilizzando materia prima riciclata, ma la transizione, già minacciata dall’aumento dei costi dell’energia, rischia di essere azzoppata anche dalla concorrenza sleale. Il pericolo, sostengono infatti i produttori di carta e acciaio, è che finendo in Paesi che non rispettano gli stessi standard di sostenibilità dell’Unione, maceri e rottami possono essere trasformati in prodotti a basso costo alimentando così fenomeni di dumping ambientale. Ecco perché Eurofer ha sollecitato una modifica del regolamento in senso ancora più restrittivo anche per destinazioni che godono dello status di paesi OCSE, che la proposta di Bruxelles considera invece come salvaguardia ambientale e sociale.  Il riferimento, neanche troppo implicito, è alla Turchia, principale acquirente mondale di rottame di ferro, la cui domanda influenza il prezzo sul mercato europeo. A inizio settembre Eurofer ha incontrato i rappresentanti dell’ala verde dell’europarlamento sollecitando l’introduzione di controlli più rigidi sul modello di quelli già adottati dall’Italia, causa invasione dell’Ucraina da parte della Russia, e in vigore in via transitoria fino al 31 luglio 2022, secondo cui: «Le imprese italiane o stabilite in Italia che intendono esportare, direttamente o indirettamente, fuori dall’Ue i rottami ferrosi hanno l’obbligo di notificare, almeno dieci giorni dell’avvio dell’operazione, al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero degli affari esteri una informativa completa dell’operazione».

 

FONTE: SIDERWEB.COM