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MILANO – È la “resilienza” che ha salvato l’acciaio italiano dalle grandi crisi, locali e globali, degli ultimi anni. Ad affermarlo è il presidente uscente di Federacciai Antonio Gozzi , che l’11 ottobre, durante l’annuale assemblea generale dei produttori siderurgici nazionali, dopo sei anni cederà il posto ad Alessandro Banzato, Ad di Acciaierie Venete.

 

Sei anni che hanno rappresentato una fase «lunga e significativa per la siderurgia italiana. Della quale, però, spesso si sono dette a sproposito banalità: che è un settore maturo, vecchio, obsoleto». Non è affatto così secondo Gozzi. Per due motivi, che sono poi le due anime dell’acciaio nazionale.

 

La produzione di acciaio del nord Italia: i 20 milioni di tonnellate sui 24 totali
Da un lato c’è una siderurgia che ha lavorato in silenzio; che negli ultimi 10 anni è cresciuta in chiave di sostenibilità sul medio lungo termine e di innovazione tecnologica; che in questo ultimo asset ha investito (sempre in silenzio) 1 miliardo di euro all’anno. «È la siderurgia che ha prodotto circa 20 dei 24 milioni di tonnellate annui del Paese – ha detto Gozzi -, quella siderurgia da forno elettrico che è la più avanzata al mondo dal punto di vista tecnologico, già prima del 4.0, che ha dato quel “boost” finale che sta portando alla nascita dei primi impianti totalmente governati dall’intelligenza artificiale», come quelli di Acciaierie Venete e di Pittini, in Veneto.

 

Il superamento delle grandi crisi: Ilva ed ex Aferpi
Altro segnale di resilienza – è stata l’analisi del presidente uscente di Federacciai – è la conclusione del processo di cessione di Piombino a JSW Steel dopo «la follia di anni in cui si è creduto a soggetti improponibili che non conoscevano il mestiere. È una fabbrica difficile che non ha mai brillato per grandissime performance», ma la sua resilienza, appunto, le ha permesso di ripartire.
Non sarà semplice neppure il rilancio di Taranto «dopo 5-6 anni di abbandono e 4 miliardi di euro persi, anche se a guidarlo c’è il più grande siderurgico del mondo». C’è soddisfazione per come si è chiusa la partita: «Ho sempre sostenuto – ha ricordato Gozzi – la necessità che Ilva restasse in mano privata. È meglio tenere lo Stato lontano dall’industria. Ogni volta che la tocca, fa danni». Ma c’è anche un rimpianto, e cioè che Ilva «non sia rimasta in mani italiane. La magnitudo necessaria per l’operazione non era però alla portata della siderurgia italiana».

 

AST Terni: «Positivo l’interesse di Marcegaglia». Se acquista, torni in Federacciai
Anche il percorso di AST Terni, secondo Gozzi, è un altro segno emblematico di resilienza. «Dopo le manifestazioni di interesse arrivate, i tedeschi hanno detto che non vendono più. Può essere una strategia per alzare il prezzo – ha supposto Gozzi -, che dimostra comunque che c’è la percezione del valore di Terni. È un segnale positivo». Tra chi sta valutando un eventuale acquisto c’è anche Marcegaglia, il cui interessamento Gozzi ha «salutato positivamente. È positivo che Terni torni in mani italiane e di un operatore che attua una forte verticalizzazione. Sarebbe un rafforzamento per AST e per Marcegaglia».

E se l’operazione dovesse in futuro concretizzarsi, allora Marcegaglia «deve per forza tornare in Federacciai» ha detto con un sorriso Gozzi, riferendosi a quella «vicenda sofferta» che aveva portato il gruppo mantovano a uscire dall’associazione, a seguito delle «conseguenze velenose di dazi e protezionismo». Quanto all’altro grande associato, Ilva, si è detto di una possibile apertura di un confronto con ArcelorMittal: «Auspichiamo il suo ingresso – ha detto Gozzi – ma deve essere consapevole che l’Italia non è la Francia o la Polonia, dove è l’unico operatore. Senza il milione e 200mila euro di Ilva – ha aggiunto – abbiamo ristrutturato l’associazione, abbiamo comunque retto e continuato i nostri progetti».

 

Ottimismo sulla congiuntura dei prossimi mesi
A proposito di dazi e regionalizzazione dei mercati, l’iniziale momento di tensione e destabilizzazione sembra essere stato metabolizzato dal mercato. «Negli ultimi 8 mesi – ha spiegato Gozzi -, l’import di acciaio in Unione europea è aumentato del 10%. Nonostante questo, e nonostante il settore delle costruzioni resti fermo, assistiamo a una tenuta dei prezzi. È segno che la domanda tiene». Per questo Gozzi si è detto «ottimista sulla congiuntura dei prossimi mesi. Anche il sentiment degli operatori siderurgici che ho sondato è positivo».

A spingere, poi, l’esplosione dei prezzi dell’energia e delle materie prime siderurgiche, e la forte crescita dei noli, ci sarebbe «qualcosa che sta accadendo in Cina, anche se non si riesce a comprendere ancora cosa».

 

Il ruolo futuro dell’associazione
Un ottimismo che potrebbe sostenere Federacciai nell’attuazione di due grandi progetti avviati negli ultimi anni, come auspicato da Gozzi. Il primo riguarda la sicurezza: si sta lavorando alla creazione di una grande banca dati per censire gli incidenti e gli infortuni, sempre meno frequenti, degli ultimi dieci anni. Il secondo progetto con il quale Gozzi chiude il proprio mandato riguarda la creazione di «un’accademia per la formazione, nell’area bresciano-veneta, anche per trasmettere la giusta immagine di un settore innovativo come l’acciaio ai giovani che hanno una preparazione tecnica».

Proprio di innovazione aveva parlato Gozzi nel suo ultimo intervento pubblico a innovA, la scorsa settimana. Oggi un ulteriore invito agli operatori siderurgici: «Non si chiudano nelle loro fabbriche. L’associazione ha spinto anche su una presenza politica, perché la siderurgia sia rappresentata come merita».

 

 

 

Fonte: siderweb.com

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