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Scende a 22 milioni di tonnellate, nel 2015, la produzione italiana di acciaio. Il calo rispetto all’anno scorso è del 7,1 per cento. Il bilancio finale conferma un andamento che si è mostrato critico fin da inizio anno (soprattutto per le difficoltà dei piani legate alle incertezze produttive di Ilva ), salvo poi migliorare negli ultimi mesi. A dicembre l’output è stato di 1,496 milioni, il 2,1% in più rispetto al corrispondente mese dell’anno prima (ma comunque al di sotto dei livelli mensili medi degli anni scorsi).

Positivo anche novembre, con 1,859 milioni di tonnellate (+0,4%), di cui 943mila di lunghi (-4,4%) e 946mila di piani (+11 per cento). Il recupero dei piani, legato con tutta probabilità alla parziale ripresa produttiva di Taranto, conferma l’anomalia del dato italiano (comunque appesantito da una crisi di sovraproduzione che sta coinvolgendo l’intero mercato mondiale, Cina compresa: il 2015, come conferma Worldsteel, si è chiuso con una flessione del 2,8%, con Pechino in calo per la prima volta da 34 anni). I lunghi, in sofferenza da anni a causa delle difficoltà del mercato delle costruzioni, sono solo in parte responsabili del dato negativo: nei primi 11 mesi del 2015 la produzione è stata di 10,5 milioni, il 2,3% in meno rispetto al corrispondente periodo del 2014 e un milione e mezzo in meno rispetto a quattro anni fa. A soffrire sono i piani (4 milioni di tonnellate perse, soprattutto in coils e lamiere da treno), e non per ragioni di mercato, visto che l’import cresce (+54,4% dai paesi extraUe a novembre), superando nei primi 10 mesi la produzione interna (8,6 milioni contro 10,6). Per questo motivo, se Ilva non riesce a riprendersi il ruolo che le spetta sul mercato dell’acciaio, la soglia dei 22 milioni raggiunta l’anno scorso è un punto di minimo che sancisce la trasformazione strutturale (in atto) del settore, a livello italiano ed europeo. Negli ultimi 10 anni l’output siderurgico italiano ha raggiunto anche livelli più bassi: nel 2009 la produzione precipitò da 30,6 a 19,9 milioni. Ma quello fu uno shock legato alla crisi, con un calo del 18,8% a fine 2008 e del 40% nel primo trimestre dell’anno successivo, chiuso a -35 per cento. Le aziende chiesero la cassa integrazione per 25mila addetti su 65mila. Il recupero l’anno dopo fu immediato, ma, secondo le parole dell’allora presidente di Federacciai, Giuseppe Pasini, con una crescita «non significativa in modo tale da potere cogliere un chiaro segnale concreto e stabile». Dopo un balzo a 25,8 milioni di tonnellate (+30% sul 2009), e un ulteriore recupero l’anno dopo (+11,6% a quota 28,7), la frenata: dopo 4 anni il «chiaro segnale concreto e stabile» ancora non c’è, complici le difficoltà della Cina e il mutato quadro sul fronte delle materie prime. Nell’ultimo quadriennio l’acciaio italiano ha perso 7 milioni di tonnellate, il 23 per cento. L’anno in corso, secondo le valutazioni recentemente espresse dal presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, non dovrebbe discostarsi da quello appena archiviato. «Non vedo all’orizzonte una robusta ripresa del settore in Europa: al massimo nei prossimi mesi potremo sperare in qualche rimanenza, gli stock sono prossimi allo zero. Al di là del consumo apparente, però, non c’è ripresa». La situazione a valle resta diversificata: cresce l’automotive, bene anche il movimento terra nonostante le preoccupazioni nel mining. I prezzi bassi del petrolio penalizzano invece l’oil&gas, e le costruzioni restano al palo, «nonostante qualche trave si venda – aggiunge Gozzi -: si è arrivati talmente al fondo che è facile registrare piccoli incrementi». Per quanto riguarda l’effetto-Ilva, «la dinamica resterà strutturale anche nel 2016 – spiega Gozzi -, con l’Afo5 fermo importeremo ancora 4-5 milioni di piani aggiuntivi». Il presidente di Federacciai resta convinto del fatto che l’Europa necessiti di «un piano concordato di riduzione» di capacità. «Abbiamo battagliato in sede di action plan, ottenendo nulla. L’Ue continua a dimostrare di non essere capace di fare politica industriale». Il 15 febbraio Federacciai, insieme ad Eurofer e ai sindacati, promuoverà una manifestazione a Bruxelles per denunciare i rischi di un eventuale riconoscimento alla Cina, da parte dell’Ue, dello status di economia di mercato.

In allegato il report sulla produzione siderurgica 2015.

Fonte: ilsole24ore

Produzione_siderurgica_2015.pdf

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