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Lo scorso 21 settembre, la Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza 34936/2022. Una sentenza “spartiacque” in materia di responsabilità del datore di lavoro in caso di incidente.

Data la complessità della materia, siderweb ha chiesto all’avvocato Marco Guerini, Studio Diritti e Lavoro di Milano, alcuni chiarimenti per capire l’effettivo impatto della decisione sull’operatività delle imprese e soprattutto sulle responsabilità effettive degli imprenditori italiani.

Avvocato Guerini, siamo di fronte ad una sentenza particolarmente importante per un imprenditore, quali sono i passaggi più significativi?

La sentenza ha ad oggetto l’accertamento della responsabilità penale dell’impresa, in caso di infortunio del lavoratore, derivante dal mancato rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In particolare, la Suprema Corte, confermando la propria giurisprudenza sul punto, ribadisce come l’obbligo di sicurezza in capo all’imprenditore previsto dal codice civile (art. 2087) si sostanzi nel dovere di predisporre tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore, secondo il criterio della “massima sicurezza tecnologicamente fattibile”, il che significa non solamente il rispetto delle norme antinfortunistiche ma la valutazione in concreto di tutti i rischi derivanti dalla lavorazione anche in base all’esperienza acquisita. Tale valutazione deve poi essere contenuta nel cosiddetto DVR (documento di valutazione dei rischi), il quale non può limitarsi a una serie di formule generali, ma deve entrare nello specifico, avendo riguardo di tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno di quella specifica azienda. È bene sottolineare che, nel caso di specie, la società è stata condannata per responsabilità propria sulla base della legislazione del decreto legislativo 231/2001, che prevede che gli enti siano responsabili dei reati commessi nel loro interesse/vantaggio da parte di soggetti che rivestano funzioni di rappresentanza/amministrazione/direzione, a meno che non dimostrino “di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”.

Come mai i giudici della Suprema Corte mettono in relazione imprudenza e mancanza di formazione?

La Suprema Corte valorizza la mancanza di adeguata formazione quale prova della mancanza di un modello organizzativo adeguato nella prevenzione del reato di lesioni gravi o gravissime (ma lo stesso varrebbe per l’omicidio colposo) commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nella specie sotto il profilo della colpa del soggetto apicale della società derivante dal non adeguatamente predisposto il DVR e nel non aver previsto l’adeguata formazione del personale. Infatti, la Cassazione ribadisce il principio pacifico secondo il quale la condotta imprudente del lavoratore non interrompe il nesso causale tra un sistema di sicurezza inadeguato e l’evento-danno avvenuto, in quanto le disposizioni sulla sicurezza hanno la finalità di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni che potrebbero derivare da sua colpa, in quanto il datore di lavoro dovrebbe impedire l’istaurarsi di prassi di lavoro non corrette che potrebbero essere all’origine di rischi per la sicurezza/incolumità.

L’esperienza sul campo senza aggiornamento formativo, quindi, non mette al riparo i datori di lavoro da eventuali conseguenze giuridiche in caso di incidente?

Assolutamente no. Come detto il criterio da tenere presente è quello della “massima sicurezza tecnologicamente fattibile”, che è un criterio in fieri che necessita di una continua valutazione del ciclo produttivo e dei rischi connessi, così come di continuo adeguamento dei modelli organizzativi volti a prevenire gli infortuni.

Come si integra la sentenza con le norme vigenti?

La sentenza fa una sintesi di due diversi piani di responsabilità del datore di lavoro, quello squisitamente civilistico-lavoristico, contenuto nell’obbligo di salute e sicurezza più diffusamente disciplinato dal Testo Unico del 2008 (decreto legislativo 286/2008), e la cui violazione porta a una responsabilità in ambito civile, e la responsabilità penale dell’ente contenuta nel decreto legislativo 231/2001 (oltre che degli amministratori, anche se nel caso in commento non vi è stato l’accertamento della responsabilità penale dell’amministratore solamente per intervenuta prescrizione del reato – contenuta nel codice penale) derivante dalla commissione del reato di lesioni personali colpose in violazione di tale normativa.

Cosa deve fare il datore di lavoro per poter ottemperare ai dettami di legge e quindi poter ritenere di aver fatto “tutto il possibile” per evitare l’infortunio?

Quello che deve fare è sicuramente quello di predisporre un servizio di prevenzione e protezione adeguato sulla base delle disposizioni del Testo Unico del 2008, ma, come detto, anche della propria esperienza (vale a dire: ciò che è già accaduto in azienda, anche senza aver portato a infortuni: rottura di macchinari, cadute di merce etc.). Ciò che significa la costituzione di uno staff tecnico e medico che lo supporti nella realizzazione del sistema di prevenzione, oltre che alla continua revisione del DVR, da farsi in maniera specifica, tenendo conto dei diversi gruppi di lavoratori coinvolti, i quali possono essere esposti ai rischi più diversi (stress, gravidanza, età, provenienza da altri Paesi, singola prestazione realizzata).

 

FONTE: SIDEWEB.COM