Skip to main content

Bruxelles ha messo a segno un successo diplomatico, ma l’eredità del Ceta tra Unione europea e Canada rischia di essere pesante.
Per una decina di giorni l’accordo è stato sub iudice per l’opposizione della regione francofona belga, la Vallonia, che con il proprio voto contrario ha impedito al Belgio di dare via libera al Comporehensive economic and trade agreement, bloccando l’iter comunitario che richiedeva il consenso dei 27 stati membri.

L’approvazione all’unanimità è stata concessa dalla Commissione proprio per evitare tensioni intraeuropee e, in qualche modo, per limitare al massimo le proteste dei movimenti anti-globalizzazione presenti in molte realtà nazionali.

 

Lo sguardo al Sol Levante

Ad ogni modo l’accordo è stato siglato, anche se per essere totalmente operativo dovrà essere approvato da 38 parlamenti nazionali (e quindi potrebbero volerci anni) e il 90% del Ceta sarà implementato dal 2017. Ora, il prossimo accordo in dirittura d’arrivo è quello di libero scambio con il Giappone che, secondo le ultime stime, dovrebbe avere un impatto sull’economia europea nell’ordine dello 0,8% del Pil comunitario. Si tratterebbe di un vero e proprio acceleratore per un sistema economico che fatica a riprendersi dalla crisi. In particolare i vantaggi attesi dal Fta con Tokyo dovrebbero essere l’abbattimento delle barriere doganali giapponesi per l’automotive e per il settore ferroviario. Chi chiede garanzie alla Commissione per l’accordo è l’industria europea dell’automobile, visto che già oggi sono più le macchine giapponesi vendute nel Vecchio Continente di quelle europee vendute in Giappone. Resta il fatto che Bruxelles punta a chiudere l’accordo con Tokyo entro la fine dell’anno.

I vantaggi e le barriere

E’ qui che entra in campo l’eredità pesante del Ceta, uno scenario in cui si è dimostrato che la Commissione Ue non può garantire la certezza del via libera ad un accordo, benché questo a livello macroeconomico presenti dei vantaggi indiscutibili. O come ha dichiarato l’ex commissario europeo al commercio Peter Mandelson: «L’esperienza del Ceta renderà i prossimi negoziati commerciali più difficili perché le controparti si chiederanno con chi stanno negoziando». Con Bruxelles o con la Vallonia? È questo il vero problema. Perché il caso dell’accordo Ue-Canada ha mostrato quanto terreno abbiano perso le istituzioni europee di fronte alle organizzazioni non governative capaci di radunare migliaia di manifestanti. Ma contemporaneamente ai rigurgiti anti-sistema che stanno dilagando un po’ ovunque, l’Unione europea è messa alle corde dalla resistenza da parte degli Stati membri di concedere pezzi di sovranità economica.

 

Un respiro sempre più corto

La politica di corto respiro dei governanti europei rischia dunque di compromettere una serie di accordi commerciali vantaggiosi che risultano sì essere anticiclici rispetto al processo di globalizzazione degli ultimi anni, ma che danno all’economia dell’Unione nuovo ossigeno, in particolare a settori industriali come quello manifatturiero che solo in una cornice di questo genere possono reggere la competizione dei Paesi emergenti. Il Ttip è ormai appeso a un filo e se alla Casa Bianca dovesse arrivare Donald Trump naufragherà definitivamente, ma l’Ue, che recentemente ha chiuso l’accordo anche con la Corea del Sud, non può ad esempio rinunciare ai trattati di libero scambio con l’Australia e con tutti i Paesi del sud est asiatico. Il tempo stringe, la Cina entro la fine dell’anno dovrebbe essere riconosciuta dal Wto come economia di mercato. Il mondo si muove in fretta e l’Europa, come entità politico-economica, non può restare bloccata per le proprie divisioni interne o per i timori dei valloni.

 

Fonte: siderweb.com