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Provata fino al limite di sopportazione. In questo modo la stampa brasiliana descrive lo stato di salute della siderurgia nazionale, fiaccata dalla maggiore crisi della propria storia che sta portando come risultato numeri ormai insostenibili per i produttori nazionali.

La più grande crisi mai affrontata

Oltre 30 mila licenziamenti, attività in stallo di 60 poli industriali, capacità produttiva inutilizzata salita al 30% e diminuzione del 16% dei consumi interni nel 2015. Il tutto unito ad un crollo generalizzato dei prezzi sui mercati internazionali. Numeri impressionanti che si scontrano con le attese che, negli ultimi anni, avevano identificato nel Brasile il palcoscenico delle grandi opportunità. A dare corpo a queste attese, gli investimenti che, tra il 2009 e il 2014, la siderurgia nazionale aveva messo in atto: secondo il quotidiano online «Carta Capital», infatti, in sei anni, furono iniettati 19 miliardi di dollari per lo sviluppo del settore. Una condizione che pone le industrie dell’acciaio carioca ad un livello di innovazione tecnologica elevato, ma in un contesto di grandissima recessione, generando livelli di indebitamento allarmanti.

 

Il crollo della produzione
Come fisiologico, è l’output il primo indicatore ad evidenziare la gravità di una crisi. Come descritto dal quotidiano economico brasiliano, infatti, a fronte di una capacità produttiva installata di 50 milioni di tonnellate annue, nel 2015, le acciaierie del Paese hanno toccato quota 33 milioni di tonnellate, riflettendo fedelmente il calo della domanda interna, a sua volta conseguenza delle difficoltà macroeconomiche del Brasile. Inoltre, a fronte di un incremento dell’export del 52,1% nel 2015, secondo le stime di Luiz Francisco Caetano, analista di Planner, il fatturato complessivo delle acciaierie è sceso del 13,5% a causa del crollo delle quotazioni.

 

La ricerca delle soluzioni
Anche l’affanno dell’acciaio brasiliano è la conseguenza dell’asfissia cinese. Nell’overcapacity mondiale, oltre l’80% è opera dalla produzione cinese. Inoltre, i prodotti siderurgici cinesi – continua Carta Capital – sono passati da 12 mila tonnellate importate nel 2000 ai 2,1 milioni di tonnellate del 2014. Un pensiero unanime commenta questi dati, considerandoli frutto della spinta e del sostegno di sussidi messo in campo da Pechino.
L’acciaio brasiliano, inoltre, paga a caro prezzo le misure di protezione varate dagli Stati Uniti, che complicano ulteriormente lo scenario. Negli scorsi mesi hanno preso il via incontri tra le più alte figure del governo nazionale e i rappresentanti dei principali gruppi siderurgici brasiliani. Secondo quanto riferito, il lavoro di tutela dell’industria siderurgica sarebbe instradato su un binario: da un lato, la definizione di incentivi all’export e, dall’altro, l’incremento delle misure antidumping che, dalle attuali soglie fissate tra il 12 e il 14%, potrebbero passare al 35%. Su queste iniziative, però, si staglia lo “spettro” della concessione di status di economia di mercato alla Cina. Se venisse accordato, infatti, sarebbe impossibile dare seguito all’istituzione di barriere di difesa dall’importazione di acciaio da Pechino.

Fonte: siderweb.com