Secondo un recente articolo del Financial Times, la siderurgia potrebbe aver raggiunto il picco massimo di sviluppo; in base a quanto riportato dall’autorevole quotidiano britannico, il livello produttivo mondiale dovrebbe infatti attestarsi e stabilizzarsi intorno ad 1,5 – 1,6 miliardi di tonnellate annue, che consiste essenzialmente all’output previsto per il 2012.
A sostegno di questa tesi, la testata finanziaria inglese cita le opinioni di vari esperti finanziari e del settore, tra cui Eiji Hayashida, CEO della giapponese JFE, e Peter Marcus, managing partner di World Steel Dynamics, che, con parole diverse, esprimono lo stesso concetto: il mondo dell’acciaio deve fare i conti con un’economia che non ha più margini di sviluppo. Le strade per garantire un futuro alle aziende del settore sono quindi quelle della differenziazione e della ricerca della qualità.
Sempre secondo il Financial Times, la stessa Cina, che finora ha trainato la siderurgia mondiale, desta preoccupazione in virtù di possibili rallentamenti tanto nella produzione quanto nei consumi.
A fronte di quelli che comunque, per quanto autorevoli, sono pur sempre pareri, sono i dati di fatto che forniscono al problema chiavi di lettura più oggettive; non si possono però non prendere in considerazione alcuni segnali significativi che giungono dalle attività messe in atto soprattutto dai grandi gruppi siderurgici per riorganizzare i propri stabilimenti, rendendo le imponenti strutture societarie più sostenibili nel mercato attuale. A tal proposito, allo sguardo degli operatori del settore non è sfuggita ad esempio la volontà di ThyssenKrupp di fare a meno dell’acciaieria Siderurgica do Atlantico (Brasile) e del centro di produzione acciai piani di Calvert (USA), due progetti collegati tra loro e costati complessivamente 12 miliardi di euro al gruppo tedesco, che ne aveva pianificato la realizzazione prima della crisi del 2008/2009.
A. Sabini Fender