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News 2011

L’angolo di Carlini – I costi non preventivati della globalizzazione

By 26 Gennaio 2011No Comments

Quant’è patetico sentire imprenditori italiani affermare: non lo sapevamo, nessuno lo aveva mai detto, non immaginavamo! Il riferimento corre alle immagini riportate dalla televisione in merito alle rivolte popolari in corso in Tunisia e in Albania, dove imprenditori italiani lamentano danni e rischi sistemici alle loro attività.

Ancora più allarmante la TV quando recita che oltre 600 imprese italiane operanti nell’area di Tirana sono a rischio. Ciò che mi lascia perplesso e fa anche sorridere è quanto non sia stato considerato il rischio paese in ogni investimento fuori dai confini occidentali.

Possibile che nessuno si renda conto quanto la Cina sia comunista e dittatoriale, come l’intero mondo arabo in bilico tra fondamentalismo e modernismo e il Brasile, quindi l’intera America del Sud, insicura sulla certezza del diritto (fino a qualche anno fa i militari avevano il diritto di potersi pronunciare e così fecero in Cile e Argentina, come in Bolivia, Perù e oggi in Venezuela). Comunque per tutti questi paesi, oggi il rischio di dissesto si chiama inflazione (evento particolarmente noto in America Latina). Insomma l’impreparazione dei nostri imprenditori è sconcertante! Hai voluto delocalizzare? E adesso sopporta il rischio insito in questa azione, che ha comunque privato il nostro paese di posti di lavoro e quindi di ricchezza.

Il 27,8% dei nostri figli non trova lavoro, in Italia. 98.000 sono le richieste di lavoro per immigrati in gennaio (??). Negli USA ci sono 8 milioni di disoccupati che cambieranno, fra 2 anni, l’attuale inquilino della Casa Bianca, che nulla ha saputo fare per curare il mercato interno.

La globalizzazione è nata con un errore di fondo: non ha saputo prevedere la povertà da disoccupazione dei mercati occidentali. Comunque nell’elenco degli sbagli, possiamo anche metterci l’euro. Oggi la moneta unica non viene abrogata, non perché già vuota di valore e senso, ma solo perché sarebbe troppo doloroso ammettere d’aver sbagliato.

A un contesto di superficialità così “totale” (ricordo i nostri manager nel 2009 quando ammisero all’unisono che non avevano capito cosa stesse accadendo nel 2008 quando i segnali erano noti dal 2006 negli USA) non è seguito quel ricambio nei capi, che avrebbe permesso d’avere persone nuove per problemi nuovi.

Tornando al tema centrale di questo intervento, va ricordato che la globalizzazione è soggetta al rischio paese e che questa cresce in forma esponenziale come si esce dall’Occidente. Qualcuno potrebbe obiettare che se si considerassero questi aspetti, allora non ci si potrebbe più muovere!

Qui va fatto un distinguo.

La globalizzazione finalizzata a produrre per il mercato occidentale, al fine di lucrare sui costi di mano d’opera è “criminale”, perché produce disoccupazione e povertà, in quegli stessi Paesi che dovrebbero comprare nel ruolo di consumatori finali i beni prodotti all’estero. È il caso degli USA dove è in atto una totale revisione restrittiva del concetto stesso di globalizzazione a favore del mercato interno. Esclusa la delocalizzazione criminale, resta quella per presidiate mercati emergenti, dove si produce con manodopera locale per quell’area.

Questo tipo d’azione è saggia, perché si dedica a quel mercato interpretandone i gusti, stile e bisogni. In questo caso d’italiano o comunque occidentale ci resta solo il progetto, macchinari e l’altra direzione.

Chi scrive crede nel potere e importanza in economia del mercato interno, quello che produce posti di lavoro e ricchezza, ritenendo tutto il resto interessante, ma accessorio e comunque di completamento anche se, mi tocca constatare che troppo spesso sono stati ribaltati questi concetti e ordini d’importanza. Credo sia saggio un ripensamento che veda meno delocalizzazione e globalizzazione, se non per presidiare mercati emergenti e maggiore cura del mercato interno, con assorbimento della povertà e disoccupazione nazionale. So che quanto qui scritto va contro il pensiero dominante, ma è stato così anche nel 1999 quando ho pubblicato la “dollarizzazione della lira” anticipando il fallimento dell’euro.

 

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