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«Il più grande pericolo dai tempi della Grande Recessione». L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (OCSE) non usa mezzi termini nel suo ultimo «International Economic Outlook» riguardante gli effetti macroeconomici del coronavirus sui sistemi globali. Nell’analisi dell’OCSE si condensano i timori per gli effetti che il Covid-19 potrebbe provocare sull’economia globale, la cui crescita era già stata esposta ai rischi delle guerre commerciali e delle tensioni geopolitiche nel corso del 2019 e rischia ora un arretramento molto pesante. Il coronavirus sta portando alla luce contraddizioni e fragilità dell’economia globale, dal sovradimensionamento delle borse alla fragilità delle filiere produttive e della catena logistica e commerciale del pianeta. Soprattutto, porta in superficie debolezze sistemiche e problematiche politiche nella risposta alla crisi: le banche centrali sembrano volersi muovere con strumenti già utilizzati, e sempre meno efficaci, dell’iniezione massiccia di liquidità nel circuito finanziario, molti governi, tra cui quelli dell’Unione Europea, sembrano reticenti ad avanzare proposte di rilancio della spesa nell’economia reale.

Crescita in calo in tutto il mondo

I dati dell’OCSE sulle aspettative di crescita per il 2020 prevedono due scenari. Nel primo si ipotizza un graduale declino del contagio e della sfiducia economica ad esso associata. Nel secondo, invece, si prospetta un effetto domino, con un contagio più generale, che è quello che si sta verificando. Nel primo caso le previsioni di crescita mondiale passerebbero dal 2,9% previsto a novembre, prima dello scatenarsi del virus, ad un più contenuto 2,4%, mentre nel secondo i blocchi al commercio, il calo della domanda interna nei Paesi più colpiti ed il moltiplicatore sistemico porterebbero la crescita ad un più preoccupante +1,5%, meno della metà di quanto atteso fino a settembre 2019. Per inciso, va ricordato che l’impatto della crisi finanziaria del 2008-2009 fu molto più negativa, provocando una diminuzione del PIL mondiale dell’1,7%. Ma è plausibile che il rallentamento del PIL mondiale, stimato dall’OCSE, sia ottimistico alla luce di quanto sta avvenendo e rispetto ai dati, seppur parziali, dei primi mesi di quest’anno relativi all’andamento della produzione (-13,5%) e delle vendite al dettaglio (-20,5%).

L’OCSE invita quindi i governi a mettere in campo misure incisive, ricordando che l’epicentro della riduzione della crescita sarà soprattutto in Cina, che pesa per un terzo sull’economia mondiale. La Cina non affonderà, ma le ripercussioni di una crescita del 4,9% nel 2020 (da ritenersi molto ottimistica) sono comunque di un punto percentuale inferiore alle aspettative. «Le ripercussioni legate alla contrazione della produzione in Cina – sottolinea l’OCSE – si faranno sentire in tutto il mondo riflettendo il ruolo chiave e crescente che questo paese ha nella catena globale delle forniture e nei settori del turismo e delle materie prime».

Per quanto riguarda l’Italia e l’Europa, l’OCSE precede un ridimensionamento della crescita economica anemica già prevedibile. L’Eurozona dovrebbe crescere dello 0,8%, contro l’1,1% inizialmente previsto, senza grossi scostamenti fra i due scenari. Ciò porta a ritenere che gli economisti dell’OCSE abbiano, con molta probabilità, sottostimato la diffusione del coronavirus nei Paesi europei. E questo a maggior ragione per l’Italia, per la quale si prevede una crescita zero per l’anno in corso. In realtà la caduta sarà molto più accentuata, considerando anche che le previsioni dell’OCSE presumono risposte efficaci e manovre espansive sul lato degli investimenti, che non saranno facili da mettere in atto in tempi brevi. La banca d’affari americana Goldman Sachs – scontando un impatto significativamente più forte e prolungato dell’epidemia globale di coronavirus sull’Europa –  ha fatto calare la scure sulla prospettiva di crescita del PIL italiano. con una riduzione dello 0,8% nel 2020 (da +0,2% pre-virus) seguito da un rimbalzo a +1,2% nel 2021 (da +0,7%).

L’impatto sul commercio internazionale

Tra le principali determinanti della crisi globale, ribadita dall’OCSE, c’è la frenata del commercio internazionale, causata dalla fragilità di numerose catene logistiche nel contesto di un’economia globale sempre più interdipendente. La Cina, con la più grande industria manifatturiera del mondo ha un’importanza rilevante sulle esportazioni e, con un mercato interno di 1,5 miliardi di persone e una crescente fame di materie prime, è anche l’economia più importante dal lato delle importazioni. Tra i centri studi a mettere in conto il tema del commercio internazionale nell’elaborazione dei modelli di previsione economica va citato il Centro Ricerche Economia e Finanza (REF) che, nel suo ultimo rapporto, ha ribadito l’importanza del fatto che «le importazioni cinesi hanno acquisito un rilievo significativo, stabilizzandosi negli ultimi anni intorno al 10% delle importazioni mondiali. Uno spaccato della globalizzazione, che comprende materie prime energetiche (17% dell’import cinese), e non energetiche (22%), metalli preziosi (4%), oltre ad una quota rilevante di prodotti manufatti ad alta intensità tecnologica e di capitale (37%), tra cui spiccano la componentistica dell’industria high-tech, come microprocessori, la meccanica di sostegno all’industria, i prodotti del settore difesa e dell’aerospazio».

«Questo aspetto – si legge nel rapporto del REF – è rilevante perché il rischio è che le aziende cinesi non siano in grado di soddisfare gli ordini dall’estero, lasciando i clienti stranieri senza semilavorati. Il rischio per quelle catene del valore che dipendono in maniera quasi esclusiva dalle forniture di prodotti da parte della Cina è quello di ritrovarsi nella condizione di dover interrompere la produzione per mancanza di componenti». Ma potrebbe verificarsi anche l’opposto, qualora le imprese europee che esportano prodotti o componenti in Cina fossero costrette ad interrompere la produzione per il diffondersi in Europa del contagio da coronavirus.

Quali politiche economiche adottare?

La situazione è dunque molto delicata e bisogna prestare molta attenzione. È necessario rafforzare l’economia reale, il lavoro e la domanda interna dei Paesi colpiti dal virus per invertire la tendenza. Gestire la crisi solo con la politica monetaria, inondando di liquidità i mercati finanziari, rischia di risultare controproducente nel medio e lungo periodo. Ciò significa, soprattutto per i Paesi dell’UE, un cambiamento radicale della politica economica che dovrà andare nella direzione di una maggiore convergenza economica e più crescita. Perché, così com’è, l’area dell’euro non è pronta a gestire una crisi economica grave. L’intera architettura dell’euro è fragile e, in termini fiscali, va fatto di più per rafforzarla e sostenerla. Per evitare lo sgretolamento del sistema della moneta unica, e quindi non solo per contrastare l’epidemia del corona virus, servono:

  1. titoli di Stato più sicuri, cioè bond europei che siano veri asset vendibili anche quando i singoli Paesi sono colpiti da una crisi;
  2. più spazio di manovra per la politica fiscale, e ci sono diversi modi per farlo: emissione di safe asset per finanziare progetti europei, un euro budget oppure un fondo europeo che fa credito agli Stati che ne hanno bisogno e consenta loro maggiori spazi di manovra fiscale;
  3. una politica industriale europea per rafforzare la convergenza e ridurre gli enormi squilibri che ancora ci sono e che rischiano di diventare ancora più grandi

 

fonte: SIDERWEB.COM

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