Stoccolma – «Cinque anni fa esportavamo il 20% della nostra produzione, ora l’80%». «Il mercato interno è ormai fermo, dal 45% del nostro fatturato è sceso al 10%». «Senza l’estero saremmo chiusi». Parlando con alcuni utilizzatori di acciaio italiani invitati allo Swedish Steel Prize, organizzato da SSAB, sentire una di queste frasi è diventato ormai la norma. Oggi più che mai, nei settori del sollevamento, delle macchine per l’agricoltura, delle gru e dell’auto, la soluzione ai problemi del mercato interno si chiama export. Un export che, però, sta prendendo pieghe diverse e, in alcuni frangenti, inaspettate. Mentre nel più classico dei casi che si possa immaginare l’aumento delle vendite all’estero è dovuto ad una maggiore qualità del prodotto made in Italy, o ad un’estrema flessibilità e personalizzazione della produzione («la nostra massima produzione in serie è stata di quattro pezzi» ha raccontato, con una certa soddisfazione, un tecnico di una società che produce benne per escavatori), in altri, invece, sta accadendo l’opposto. Ovvero, non è la qualità, la tecnologia o l’innovazione a pagare ma, al contrario, la convenienza economica. «Abbiamo raggiunto nuovi mercati in espansione, dove però ci richiedono prodotti “di battaglia”, molto competitivi ma “basic”» ha riferito un operatore che produce macchinari utilizzati soprattutto per l’edilizia. L’Italia, quindi, per alcuni mercati specifici, circoscritti e per prodotti che si possono definire di media tecnologia (non troppo avanzati, quindi, ma nemmeno troppo basici, che hanno bisogno di un certo know-how ma senza un’eccessiva complicazione) è ancora considerato alla stregua di un produttore low cost. Per quanto potrà durare questa situazione? Quali prospettive potrà garantire all’industria del nostro paese? Queste domande rimangono ancora aperte e rappresenteranno una sfida per il futuro delle imprese che si trovano in questo limbo.
Tornando ad uno sguardo più ampio sui comparti utilizzatori di acciaio, gli intervistati hanno rilevato che per ciò che concerne l’automotive la Germania rimane ancora il paese nel quale si registra una migliore situazione, a livello europeo. Anche se inizia ad affacciarsi un primo elemento di preoccupazione all’orizzonte: molte case, infatti, hanno allungato i termini di pagamento nell’ultimo periodo. Si tratta di una variazione che ha portato a saldare le fatture a 45 giorni, una tempistica da favola per la media italiana, ma che certamente può rappresentare una (seppur piccola) nuvola sull’auto teutonica. A rimanere del tutto avulso da questo rallentamento è l’alto di gamma tedesco, che continua a viaggiare a gonfie vele. In Italia, invece, l’automotive è penalizzata dai bassi livelli produttivi e dalla lunghezza dei pagamenti, mentre in Francia le realtà che lavorano con Renault vivono una situazione migliore rispetto a quelle che lavorano con PSA.
Per ciò che concerne il settore del movimento terra, invece, il mercato italiano è fermo mentre per le macchine agricole fino a fine settembre si è registrato in Italia un buon carico di ordini, che successivamente è scemato. «Nel quarto trimestre il 60% dei nostri ordini è stato posticipato al I° trimestre 2013» ha spiegato un operatore, che ha anche aggiunto che le prime stime per l’inizio dell’anno prossimo sono per una riduzione a due cifre della produzione rispetto allo stesso periodo del 2012, quando però si era registrato un trend molto positivo.
Fonte: Siderweb.com