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Secondo una nota apparsa sul web, la commissione nazionale cinese per lo sviluppo e le riforme (NDRC), l’ente governativo che riveste un ruolo primario nelle attività pianificazione e controllo dell’economia del colosso asiatico, ritiene che le principali compagnie minerarie mondiali, coadiuvate dal supporto di alcuni trader, avrebbero agito affinché venisse generata, in modo artificioso, carenza di minerali di ferro sul mercato, con lo scopo di farne lievitare i prezzi.

Per quanto la levata di scudi dell’organismo cinese giunga in una fase di discesa dei prezzi (il valore del minerale di ferro sarebbe calato, secondo Steel Index, a 145,20 $ alla tonnellata contro i 160 $ di due settimane fa) i dati sui prezzi parlano chiaro: il rincaro negli ultimi sei mesi è nell’ordine dell’80%.

Sotto accusa sono i tre produttori che hanno in mano il 70% dell’output mondiale del settore, la brasiliana Vale e le australiane Rio Tinto e Bhp Billiton; il meccanismo che avrebbe assicurato alle tre società di manipolare il mercato dei prezzi sarebbe stato quello di vendere quantitativi ridotti di minerale attraverso aste a prezzi innaturalmente alti; ciò avrebbe influenzato gli indici cui si riferisce il mercato di settore per la determinazione dei valori di riferimento.

Dal canto loro, le società minerarie hanno affidato la replica alla Bhp Billiton, (la quale ha peraltro recentemente sostituito il CEO), che si è affrettata a respingere le accuse di Pechino definendo le attuali condizioni di mercato del tutto normali.

 

A. Sabini Fender

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