Dai resoconti degli imprenditori che seguo giornalmente e da altri con cui mi confronto costantemente, la prima settimana di ottobre indica l’apertura di una nuova fase congiunturale che possiamo sintetizzare in “doppio colpo”. In pratica c’è una improvvisa rarefazione di ordini.
Questo ridimensionamento del carico di lavoro non dovrebbe essere una novità. Fu anticipato molti mesi fa anche se forse non creduto.
Vediamo i fatti. La crisi scoppiata nel 2008 ma anticipata già 2 anni prima da qualche economista, ha come tutti gli eventi umani una sua forma. Si è discusso se si snodasse come una L (caduta rapida e lunga stabilizzazione) oppure una U (caduta e successivo altrettanto rapido recupero) oppure una W (caduta, ripresa, seconda caduta, ancora una ripresa).
Il 46% dei ricercatori negli USA quest’estate, ha dato per certo un secondo colpo della crisi negli Stati Uniti in autunno. Oggi tutti sono concordi con questa impostazione perché è ormai realtà sul lato americano dell’Atlantico. Più o meno all’unanimità, sui più lati dell’Oceano, hanno convenuto che questa dinamica non avrebbe interessato l’Europa.
Su questo aspetto continuo a essere in disaccordo.
La prova che ricevo dalla prima settimana di ottobre conferma invece (e non sono affatto soddisfatto di ciò, però dimostra anche come superficiali siano le analisi svolte finora dalla stampa) che le conseguenze della crisi espressa con una W sono valide anche in Europa.
Perché gli altri sbagliano? È semplice. La crisi, non smetterò mai di dirlo, non è economica ma sociale. Non siamo entrati nel tunnel perché qualcuno ha smesso di pagare le rate del mutuo!
Siamo in una profonda fase di stasi perché abbiamo troppo voluto e in così poco tempo. Ne consegue che è il consumatore in crisi e non il suo portafoglio.
Questa conclusione appare scontata ma a ben guardare tutti i governi curano una crisi sociale con provvedimenti economici. Se viene sbagliata la cura, la malattia forse guarirà ma su tempi molto lunghi. Ecco perché ormai si parla di 2015 o 2016.
Non considerando il lato sociale della crisi è palese che le previsioni siano errate o parziali.
In pratica cosa sta accadendo? Le persone, quindi le famiglie, noi tutti abbiamo timore per il futuro e questo sia in Europa come negli USA. Quando le persone hanno “paura”, normalmente contraggono la spesa alzando la quota di risparmio. E’ esattamente quanto accaduto sia negli USA che in Europa in agosto e settembre.
Una manovra di questo tipo sottrae alla domanda interna denaro il che comporta calo nei consumi. Laddove si parli di un aumento della quota risparmiata del 3% abbiamo modelli matematici (sui quali però si è dimostrata l’inaffidabilità, perché non hanno saputo capire quei segnali che avrebbero manifestato poi la crisi) che traducono questo effetto in un calo del 30% della produzione e successiva commercializzazione dei beni. Se si considera la riduzione della meccanica del 60% e della siderurgia con il 30% in meno nella primavera del 2009 come esempi vissuti, la seconda parte della W nel corso di questo fine 2010 è confermata. Ecco la radice del ragionamento che porta a considerare il “secondo colpo” attuale anche per l’Europa. Questa tendenza ormai manifesta in ottobre si salda con i dati che indicano a +22% i fallimenti tra aprile e giugno 2010.
Ora che gli scenari si sono aperti su quanto già detto mesi fa ma poco creduto, che fare e soprattutto chi resterà ancora sul mercato quando sarà tutto finito? Non è difficile anticipare che il numero degli operatori che oggi agiscono, non sarà lo stesso fra un anno. Ragioniamo ora sui provvedimenti da adottare.
– accorpare le piccole aziende;
– sganciarsi dal credito bancario e metterci “di tasca propria” i soldi in azienda (in pratica gli stessi che furono prelevati quando le cose andavano bene);
– cercare immediatamente mercati sostitutivi, perché quelli tradizionali non saranno più in grado d’assicurare neppure il punto di pareggio!
– possibilmente non solo commercializzare ma anche produrre con marchio proprio, a un prezzo d’offerta che sia notevolmente più basso della concorrenza europea (quella cinese verrebbe spazzata via se ci fosse un’alternativa italiana di buona qualità a prezzo accettabile);
– mantenere la delocalizzazione solo se funzionale a presidiare i mercati esteri, ma tornare a nazionalizzare la produzione destinata al mercato interno. Il vero segreto oggi non è contrarre la spesa, ma organizzarla meglio e su aspetti più spinti verso le vendite, come la pubblicità, per convincere il consumatore che noi siamo i migliori. Quindi studiare nuovi sistemi di stoccaggio nel magazzino, trasporti e gestione del fattore umano;
– la nuova spesa aziendale è molto severa con il lusso, le auto e la rappresentanza, ma si concentra sulla ricerca, innovazione, quindi l’inserimento di figure nuove (anche apprendisti) che si dedichino ai contatti commerciali da sviluppare;
– coloro che resteranno sul mercato non saranno degli imprenditori tradizionali, ma definibili a “geometria variabile” operando in sinergia con diversi altri ambienti produttivi attigui al proprio, miscelando produzione e commercio.
Auguriamoci buona fortuna.
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