L’Unione Europea è accomunata dalla tempesta che sta travolgendo gli impianti siderurgici continentali, ma si divide nel tentativo di sfuggirle.
Sembra essere questo il messaggio nascosto tra le righe di ciò che sta avvenendo in ambito siderurgico. Perché se è vero che l’Italia si trova a fare i conti con la crisi derivante dalla situazione dell’Ilva, è evidente che anche gli altri stati della comunità non se la passano particolarmente bene, a partire dalla Francia, costretta a fronteggiare la decisione di Arcelor Mittal di chiudere due altoforni a Florange, in Lorena.
Il presidente francese Francoise Hollande sta cercando un punto d’intesa con il magnate del colosso indiano Lakshmi Mittal, senza finora raggiungere un accordo. Il governo transalpino avrebbe trovato compratori per l’intero sito, ma Mittal non intende vendere in blocco tutto l’impianto. Una delle soluzioni paventate è quella di nazionalizzare temporaneamente le installazioni, ipotesi comunque poco gradita alla multinazionale indiana, che minaccia di abbandonare la Francia, mettendo a repentaglio 20 mila posti di lavoro.
C’è chi vede nell’instabilità del vecchio continente un’opportunità di portare acqua al proprio mulino, come il sindaco di Londra, Boris Johnson, che, in visita in India, non ha usato mezzi termini nel consigliare a Mittal di portare le sue attività fuori dalla Francia, nella speranza, forse, di convincerlo a trasferire tutto in Gran Bretagna, dove l’industriale ha anche la residenza.
Di certo lo stesso Regno Unito non vive giorni felici, da quando anche Tata Steel (altro gruppo indiano) ha annunciato la chiusura di alcuni impianti nell’ambito di una ristrutturazione che mira a mantenere la società competitiva sul mercato.
Sul fronte teutonico, la ThyssenKrupp ha chiuso stabilimenti in Italia (Terni e Berco) così come in patria (Bochum e Krefeld), ed in risposta ad una contrazione produttiva nazionale che sfora il 7 %, sta valutando la possibilità di tagliare ulteriormente i costi, a partire dagli onerosi siti americani. Il gruppo tedesco, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe anche rivolgere le proprie attenzioni verso est, dove ormai il baricentro della produzione di acciaio mondiale si è stabilmente insediato e dove impiega già 19 mila dipendenti.
La situazione impone misure eccezionali volte a salvaguardare la posizione storicamente predominante dell’Europa e dell’America nel settore siderurgico.
Dal canto loro, infatti, gli Stati Uniti stanno reagendo con l’introduzione di dazi sulle importazioni dalla Cina (in vigore per alcuni prodotti fin dal 2010).
L’Unione Europea, fino ad oggi troppo statica e divisa sulle politiche da adottare, sembra aver finalmente deciso di muoversi: l’ipotesi è di puntare la strategia per rilanciare la produzione continentale, oltre che sull’introduzione di dazi, sui costi ambientali, come l’imposizione di una tassa sull’esportazione di rottame verso India e Cina.
A. Sabini Fender