Sul comparto dell’acciaio si allunga lo spettro della crisi. Dopo un 2009 difficile, il 2010 si preannuncia all’insegna di mercati stagnanti, produzioni falciate con inevitabili ricadute occupazionali. Così si è espresso Giuseppe Pasini, presidente di Federacciai e leader del gruppo Feralpi, in un’intervista rilasciata al quotidiano BresciaOggi.
«Dopo aver raggiunto vette elevatissime nel 2004-2008 – precisa – ora la siderurgia deve avere il coraggio di ammettere la caduta e analizzare ciò che è successo». I numeri, del resto, parlano chiaro. Nei primi undici mesi di quest’anno la produzione globale segna un -10,8% (dati World Steel Association) rispetto allo stesso periodo 2008. All’interno di questa cifra esistono però situazioni differenti. La Cina sta infatti marciando a ritmi sostenuti nonostante il momento congiunturale, «capace – commenta Pasini – di superare agevolmente la crisi rendendola, internamente, un fattore congiunturale e non strutturale». Per la «vecchia» Ue a 27 tutt’altra musica: da gennaio a novembre la produzione crolla del 33,2%, anche se il mese scorso riserva una piacevole +10,8% su base annua.
«L’Italia non ha saputo raggiungere questo traguardo – sottolinea Pasini – perché il dato di novembre mostra una contrazione del 17,2% su novembre 2008 e del 37,3% in undici mesi. Chi si attende che il Paese possa acciuffare più velocemente di altri una possibile ripresa, si sbaglia. La Germania, ad esempio, ha investito 110 miliardi di euro per nuove infrastrutture». E l’export non è più strategico: lo sanno bene i produttori bresciani di tondino alle prese con la crescita della concorrenza in Nord Africa e Medio Oriente.
Ad incupire la situazione nazionale sono le ricadute occupazionali. Secondo le stime di Federacciai, il comparto impiega circa 60 mila addetti diretti: di questi, nel 2009, 25 mila sono stati interessati dall’utilizzo di ammortizzatori sociali. «Purtroppo – ammette Pasini – non ci sono garanzie che, nel 2010, possano essere mantenuti tutti i posti, pur con l’ausilio degli strumenti a disposizione che devono essere rifinanziati. Le imprese dovranno inevitabilmente sopportare processi di riorganizzazione, anche perché, già oggi, le capacità produttive superano la domanda: sarà questa la vera sfida, a livello locale e mondiale».
Che dire, poi, delle sfide ambientali, alla luce del «sostanziale fallimento» del vertice di Copenaghen? «Una cosa è certa: la strada che la Cina ha deciso di intraprendere. Una strada che – sottolinea Pasini – si fonda sulla consapevolezza di essere l’economia dominante e sostiene un atteggiamento irrispettoso di ogni forma di vincolo». Un fattore critico anche per l’acciaio. Anche per questo «l’Ue – conclude Pasini – dovrà proteggere i mercati domestici dall’affluenza selvaggia di prodotti cinesi, con una competitività figlia degli aiuti statali». In una parola: dumping, nell’accezione più pura – e non speculativa – del termine.
l.c.
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