I giochi olimpici estivi 2008, ufficialmente chiamati Giochi della XXIX Olimpiade, prenderanno il via a Pechino l’8 agosto. Per la terza volta, dopo Tokyo 1964 e Seoul 1988, la manifestazione si terrà in un paese asiatico.
Questa XXIX edizione delle Olimpiadi porta con sé, suo malgrado, innumerevoli temi di riflessione sul paese che le ospita che vanno al di là del discorso sportivo. Uno di questi è l’impatto di un evento mondiale di tale portata sull’economia e sull’industria, e in particolare sulla siderurgia, in un paese come la Cina.
Sicuramente per l’economia cinese l’Olimpiade è stata una occasione per importanti investimenti. Pechino, già immenso cantiere aperto, dal 2001 (anno in cui è stata assegnata l’organizzazione dei Giochi) ha visto moltiplicarsi gru e investimenti. Il solo Stadio nazionale della capitale cinese, costruito appositamente per ospitare le cerimonie di apertura e chiusura dei giochi, ha richiesto una spesa di 325 milioni di euro, buona parte dei quali è stata spesa per le 41.875 tonnellate di acciaio necessarie alla sua realizzazione. Nel complesso sono stati spesi più di 25 miliardi di euro, oltre il doppio rispetto ad Atene 2004, per costruzioni che vanno da nuove linee della metropolitana a una nuova ala dell’aeroporto, passando per impianti sportivi (ristrutturati o eretti ex novo) e interventi di viabilità. Gli organizzatori hanno previsto, sulla base delle precedenti edizioni, un numero indicativo di turisti di circa 500.000 stranieri e 1,1 milioni di cinesi, per un volume d’affari di quasi 11 miliardi di euro.
I giochi olimpici però non sono solo una opportunità di guadagno per l’industria cinese, specialmente per quella pesante. L’ inquinamento che ricopre il cielo della capitale è stato uno dei tanti argomenti di controversia che hanno investito questa olimpiade cinese. La preoccupazione delle varie federazioni nazionali per la salute dei propri atleti ha costretto l’organizzazione a prendere misure sempre più drastiche per riportare entro limiti accettabili la qualità dell’aria pechinese. Numerose industrie dell’area di Pechino e zone limitrofe hanno quindi dovuto fare i conti, direttamente o indirettamente, con i provvedimenti anti inquinamento emanati dal governo cinese e le acciaierie non hanno fatto eccezione.
Per quanto riguarda la capitale dal 20 luglio sono fermi tre dei quattro forni dell’impianto di proprietà di Shougang Steel Group, situato a soli 18 chilometri da piazza Tiananmen. La produzione prevista per tale impianto nel terzo trimestre 2008 ammonta a solo il 27% della capacità totale. Shougang sta comunque progettando da tempo di spostare la produzione da Pechino alla baia di Bohai, nella provincia di Hebei, a più di 200 chilometri di distanza. Il nuovo sito da quasi 10 miliardi di dollari inizierà la produzione di acciaio in ottobre, a soli 20 mesi dall’inizio dei lavori, e per il 2010 è prevista una produzione di 10 milioni di tonnellate l’anno.
La provincia di Hebei non è comunque immune ai provvedimenti governativi. Tutti gli impianti non in grado di soddisfare i requisiti in termini di emissioni sono stati fermati. Le stime parlano di 350.000 tonnellate di carbone in meno sul totale annuo, 7,11 milioni di tonnellate per quanto riguarda il ferro, 5,58 milioni per l’acciaio. A Tientsin, la grande città portuale a 150 chilometri dalla capitale, altri due forni (tra 40 industrie pesanti) rimarranno chiusi dal 25 luglio al 20 settembre, e diversi depositi e miniere di carbone sono stati fermati nella provincia di Shanxi e nella Mongolia interna.
Ma non solo l’acciaio è stato colpito dai tagli produttivi. I provvedimenti restrittivi hanno toccato l’output di energia, che risente anche della diminuita disponibilità di carbone: nella sola provincia di Hebei saranno prodotti 745.000 kw in meno di energia elettrica. La scarsità di elettricità ha anche spinto alcuni piccoli fornitori di alluminio e zinco a ridurre la produzione.
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