Il mondo della finanza e quello dell’economia sono messi a dura prova dalle proteste di piazza che stanno infiammando i paesi del Maghreb. L’estensione della rivolta ai Paesi del Golfo potrebbe avere pesanti conseguenze sul sistema economico e politico-sociale italiano, mettendo a repentaglio i fruttuosi rapporti commerciali esistenti e spingendo una nuova ondata migratoria difficilmente gestibile.
Dall’Egitto e dai paesi del Maghreb sembrava fosse partita la primavera dell’economia del Mediterraneo del Sud, con una crescita che nell’ultimo decennio ha sfiorato il 5% annuo. Un miglioramento economico che tuttavia si è realizzato solo per una fascia ristretta della popolazione e che non poteva perciò fermare il malcontento di milioni di giovani senza lavoro e senza futuro. Ai quali si è aggiunta la protesta del resto della popolazione oppressa dall’aumento vertiginoso dei prezzi dei beni alimentari. La crisi potrebbe avere conseguenze più ampie al di là dei confini nazionali, accrescendo le tensioni sull’euro e la tendenza al ribasso delle principali borse europee, considerato che l’UE è la più esposta verso quest’area. Anche se le banche centrali coinvolte hanno evitato di svalutare le rispettive monete, il rischio è che la crisi economica si aggravi, facendo ulteriormente aumentare il costo dei prodotti alimentari e rafforzando quindi la protesta.
Le possibili ripercussioni sull’Italia
L’Italia potrebbe pagare un prezzo più alto di altri. Per ragioni economiche in primo luogo, dal momento che il nostro paese intrattiene con questi Stati un fiorente interscambio commerciale di quasi 37 miliardi di euro l’anno, nonché stretti legami nel turismo e in diversi settori produttivi, tra cui l’agro-alimentare, l’industria estrattiva e delle costruzioni. L’Italia, infatti, è il secondo partner economico a livello mondiale di questi paesi. Nel 2010 l’interscambio commerciale tra l’Italia ed i quattro paesi considerati (Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia) è stato di 36,9 miliardi di euro, il 74,5% in più rispetto all’inizio del decennio. In particolare, le esportazioni hanno raggiunto i 13 miliardi di euro (+114,1% rispetto al 2000), mentre le importazioni si sono attestate a 23,9 miliardi di euro (+58,6%). Il deficit del nostro paese di 10,9 miliardi di euro è dovuto alle importazioni di gas e petrolio dall’Algeria e dalla Libia; con l’Egitto, il Marocco e la Tunisia il saldo commerciale è invece positivo per 2,9 miliardi di euro.
Il rischio per la siderurgia
La siderurgia è uno dei settori dell’industria italiana più esposti verso i paesi sopraccitati. Nel 2010 le esportazioni di prodotti siderurgici hanno raggiunto un valore di 789,2 milioni di euro, pari al 5,4% del totale delle vendite all’estero delle imprese siderurgiche del nostro paese. Le esportazioni in quantità si sono attestate a 1.132.533 tonnellate.
La crisi di questi paesi rischia di ridimensionare ulteriormente uno dei mercati più dinamici e promettenti per la nostra industria siderurgia, mercato già pesantemente debilitato dalla crisi economica mondiale dell’ultimo biennio. Va rilevato, infatti, che tra il 2000 ed il 2008 le esportazioni di prodotti siderurgici verso l’Egitto ed i paesi del Maghreb erano aumentate di 5 volte sia in valore (da 304,a a 1.550,5 milioni di euro) sia in quantità (da 431.911 a 2.147.854 tonnellate).
Nel 2009, a causa della crisi economica mondiale, le esportazioni si erano ridotte del 42,8% in valore e del 30,5% in quantità. Nel 2010 c’è stato un ulteriore calo dell’11% in valore e del 24,1% in quantità, portando il decremento rispetto alla situazione pre-crisi al 49,1% per quanto riguarda le esportazioni in valore a al 47,3% per quanto concerne le esportazioni in quantità.
La crisi sociale, politica ed istituzionale in atto in quest’area rischia quindi di aggravare una situazione già molto pesante per l’industria siderurgica italiana.
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