Da 270 a 300 dollari la tonnellata. Potrebbe essere questo il futuro prossimo dei prezzi per il carbon coke alla luce del pressoché continuo rialzo del livello delle inondazioni nello stato australiano Queensland. Nel frattempo le compagnie minerarie annunciano che le operazioni per liberare le miniere dall’acqua sono già iniziate come confermata all’agenzia Reuters da Seamus French capo della divisione carbone metallurgico del gruppo Anglo American che però a riferito che i lavori dureranno alcune settimane.
La produzione di coke resterà ancora inchiodata al 35% delle 259 milioni di tonnellate di carbone da export australiano. Alla luce delle 12 miniere ancora sommerse il prezzo potrebbe rincarare per gli acquirenti asiatici anche del 33% come affermato dai vari analisti di Macquarie, Morgan Stanley e Capital Markets Daiwa. Dalla zona alluvionata nel frattempo non giungono buone notizie con la previsioni di ulteriori 200 millimetri di pioggia in arrivo, nel frattempo il livello del fiume Fitzroy, principale responsabile degli allagamenti, resta ancora largamente superiore alla media.
Oltre ai rincari sulle materie prime la peggior alluvione degli ultimi 50 anni potrebbe far levitare per l’Asia anche il prezzo dell’energia elettrica dato che sott’acqua sono finite anche le miniere di carbone termico utilizzato dalle centrali dagli occhi a mandorla, il cui prezzo è già rincarato del 3%.
Nel frattempo c’è anche chi calcolatrice alla mano fa già la conta di quanto il maltempo gli costerà come gli esponenti della China Steel che stimano in 10 milioni di dollari i rincari per le inondazioni per l’azienda di Taiwan. Mentre tornano a sorridere i produttori russi e canadesi «sommersi» ma in questo caso dagli ordini dopo la sciagura australiana.
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