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Il rallentamento del mercato ha avuto le prime conseguenze sui grandi gruppi italiani ed europei

Il 2024 sarà ricordato come un anno di rallentamento e di contrazione. Contrazione della produzione industriale e della produzione siderurgica, in Europa e in Italia.  

A livello geopolitico hanno pesato i diversi focolai di conflitto ancora accesi. Più vicino a noi, alle porte dell’Europa, con l’incancrenirsi della guerra tra Russia e Ucraina; poi in Medioriente con l’intensificarsi dello scontro armato tra Israele e Palestina e proprio sulla fine di quest’anno anche la svolta nella più che decennale guerra civile in Siria, con il rovesciamento del regime di Assad. Oltre al persistere, in particolare nella prima parte dell’anno, delle difficoltà a livello di logistica navale causate dalle azioni di pirateria nel Mar Rosso.  

Sul versante economico nel 2024 abbiamo assistito a un ulteriore rallentamento dell’economia cinese, con una domanda di acciaio interna pesantemente influenzata in negativo dalle difficoltà che stanno caratterizzando il settore immobiliare. Ciò ha portato molte acciaierie cinesi a cercare uno sbocco all’export, inondando i mercati internazionali di prodotti a basso costo, e spingendo così diversi Paesi ad alzare le barriere con i dazi.  

Passando all’Europa, nell’anno del rinnovo del Parlamento europeo, il 2024 ha rappresentato l’avvio della fase transitoria del CBAM e dell’aggiornamento della Salvaguardia europea. Ma il 2024 è stato soprattutto l’anno nel quale abbiamo assistito alla frenata della Germania, con l’economia della locomotiva d’Europa in recessione, una produzione industriale in calo e il simbolico settore dell’auto tedesco in piena crisi, con marchi quali Volkswagen e Mercedes costretti ad annunciare tagli, chiusure e ridimensionamenti di budget. 

Tutto questo ha avuto un impatto sull’industria italiana, fornitrice storica del manifatturiero tedesco, e quindi sull’acciaio a causa delle difficoltà dei principali mercati di sbocco. Da qui, abbiamo visto la produzione di acciaio in Italia registrare una costante contrazione, con un output – secondo i dati diffusi da Federacciai – che ha visto il segno più solo a gennaio e a ottobre, che non è mai riuscito a raggiungere la soglia dei 2 milioni di tonnellate nel mese e che chiuderà l’anno rischiando un cumulato al di sotto dei 20 milioni di tonnellate, cosa che non accadeva dal 2009.  

Crisi della siderurgia italiana ben rappresentata da Acciaierie d’Italia, ovvero l’ex Ilva di Taranto, che nel 2024 è tornata per la seconda volta in 9 anni in amministrazione straordinaria, con il commissario Giancarlo Quaranta nominato il 20 febbraio con un decreto firmato dal ministro Urso e l’arrivo il 29 febbraio della dichiarazione dello stato di insolvenza della società. 

Asset e attività delle società Ilva e Acciaierie d’Italia, entrambe in amministrazione straordinaria, messi in vendita il 31 luglio e verso i quali il Governo ha ricevuto 15 manifestazioni d’interesse, ma solo 3 di queste per l’intero blocco, ovvero la canadese Stelco, l’indiana Vulcan Steel e l’azera Baku Steel. Ora, per capire quale sarà il futuro dell’unico produttore da ciclo integrale in Italia, dovremo aspettare il 10 gennaio, quando scadrà il termine per la presentazione delle offerte vincolanti. 

Nel frattempo, ci sono stati altri due fatti che hanno caratterizzato il 2024 del polo tarantino. Il primo è stato l’annullamento del processo “Ambiente svenduto” da parte della Corte d’Assise d’Appello di Lecce e il conseguente spostamento dell’intero procedimento a Potenza. Il secondo è la ripartenza dell’altoforno numero 1 di Taranto il 15 ottobre e l’annuncio dell’avvio dei lavori per la costruzione di due forni elettrici ad inizio 2025. 

Restando in Italia, abbiamo assistito anche all’accordo Metinvest-Danieli per la creazione di un’acciaieria da forno elettrico a Piombino dalla capacità di oltre 3 milioni di tonnellate annue e una produzione di 2,7 milioni di tonnellate di coils, con un investimento di 2,5 miliardi di euro da parte della newco Metinvest Adria.  

Tornando alla Germania e alla crisi della sua industria, quest’abbiamo assistito alle decisioni drastiche prese da thyssenkrupp che, dopo aver registrato una perdita netta annuale di 1,4 miliardi di euro, ha deciso di cedere il 20% della propria divisione Steel al magnate ceco Daniel Kretinsky. Contestualmente, il gruppo ha anche presentato i propri piani per la unit siderurgica che prevedono un taglio di 11mila posti di lavoro entro il 2030 e la riduzione della capacità produttiva da 11,5 milioni di tonnellate a meno di 9 milioni di tonnellate.  

Crisi dell’acciaio che ha mostrato le sue conseguenze anche in Francia, con il terzo fallimento nell’arco di dieci anni di Ascometal, a causa delle difficoltà affrontate dalla proprietà di Swiss Steel Holding. Crollo che ha portato il gruppo d’Oltralpe a essere messo in amministrazione controllata. Dapprima, per i suoi asset si era fatto avanti il gruppo Acciaierie Venete, intenzionato a rilevare l’intero blocco, ma a causa delle mancate risposte da parte del governo francese abbiamo visto la trattativa saltare e la società essere messa in liquidazione. In questa situazione si è quindi inserita Marcegaglia, riuscendo ad aggiudicarsi il sito produttivo di Fos-sur-Mer. E sempre in Francia, ArcelorMittal a marzo ha deciso di investire quasi 1 miliardo di euro per l’acquisizione di una partecipazione del 28,4% nel gruppo Vallourec, player attivo nella produzione di tubi senza saldatura.  

Il 2024 è stato un anno particolarmente travagliato per la siderurgia del Regno Unito, che ha perso circa l’80% della sua produzione rispetto al 1970 e oltre il 50% negli ultimi 10 anni. In questo quadro, a marzo Tata Steel ha annunciato la chiusura delle cokerie e degli altiforni del sito produttivo di Port Talbot, in Galles, e presentato un piano per la conversione degli impianti a forno elettrico, per il quale riceverà un aiuto governativo da 500 milioni di sterline. Anche British Steel ha annunciato i propri investimenti per il passaggio dagli altiforni ai forni elettrici a ScunthorpeUna transizione che, tuttavia, sta preoccupando i sindacati britannici per le conseguenze che queste decisioni avranno sull’occupazione.  

Poi, il gruppo spagnolo Celsa nel 2024 è stato protagonista della cessione dei propri asset proprio nel Regno Unito e in Scandinavia a un fondo di investimento ceco. Resta in vendita lo stabilimento polacco, mentre il gruppo è al lavoro per la ricerca di un partner industriale per i suoi asset in Spagna e in Francia.  

Facendo un salto oltreoceano, negli Stati Uniti nel 2024 ha tenuto banco la vicenda dell’acquisizione di US Steel da parte della giapponese Nippon Steel, con un deciso intervento della politica nella vicenda. Sia l’attuale presidente Joe Biden che il suo successore Donald Trump hanno infatti annunciato più volte la loro intenzione di bloccare l’operazione, ora in fase di controllo da parte del CFIUS rispetto a possibili rischi per la sicurezza nazionale degli Usa. Come andrà a finire, però, lo scopriremo molto probabilmente a gennaio.  

Questi i fatti principali – e di molti altri avremmo potuto parlare – che hanno reso il 2024 un anno certamente ricco e interessante, a fronte di un generale contesto di recessione. Ora ci stiamo per affacciare al 2025, verso il quale la siderurgia ripone le proprie speranze di una ripresa. 

Fonte: siderweb.com

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