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La Brexit che si sta concretizzando è quella di Tata Steel. L’intenzione del colosso indiano dell’acciaio di avviare la dismissione delle attività britanniche, con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro, è soltanto l’ultimo di una serie di scossoni per la siderurgia del Regno Unito. Il settore sta entrando in quella che uno dei principali produttori cinesi ha definito «l’era glaciale» dell’acciaio globale.

Un’era di «sfide, feroce competizione e difficili condizioni per sopravvivere», scrive Angang Steel nel comunicato sui conti del 2015, chiuso con una perdita netta di 710 milioni di dollari. Le ragioni delle difficoltà sono da ricercare nel rallentamento della crescita della Repubblica Popolare e nell’eccesso di capacità produttiva che hanno sconquassato sia l’industria domestica sia quella mondiale. La Cina produce circa la metà delle 1,6 miliardi di tonnellate globali di acciaio. La sola produzione in eccesso cinese, circa 340 milioni di tonnellate, è il doppio della produzione europea e la domanda interna, complice la frenata della crescita, è in calo del 3,5%. Lo sbocco sono quindi i mercati esteri, con prezzi in discesa a livello globale del 32%. Le aziende, scrive la società di assicurazione crediti del gruppo Allianz nel suo outlook settoriale, «devono far fronte a una doppia battuta d’arresto, con il declino del volume e del valore delle proprie vendite, che spingerà al ribasso anche il fatturato». Questo è il contesto nel quale procede l’iter di cessione dell’Ilva di Taranto e lo scorso 30 marzo Tata Steel Europe, numero due per capacità produttiva nel Continente dopo Arcelor Mittal, ha comunicato di essere «profondamente preoccupata per il deteriorarsi delle performance finanziarie della controllata britannica» e di stare esaminando «tutte le opzioni di ristrutturazione del portafoglio» inclusa la dimissione parziale o totale dell’asset. In ballo ci sono almeno 15 mila posti di lavoro che, secondo una stima dell’Institute for Public Policy Research, potrebbero diventare 25 mila se si considera anche l’indotto. Altre soluzioni avanzate, oltre la vendita, sono il sostegno del governo, ma in questo caso occorrerebbe valutare il rischio di violare le regole comunitarie sull’aiuto pubblico, la semi-nazionalizzazione e la nazionalizzazione pura e semplice, ipotesi quest’ultima già scartata dall’esecutivo conservatore di David Cameron, che cerca di fare quadrato attorno ai lavoratori.

Nel mentre tuttavia Londra è diventato il bersaglio di quanti in Europa la accusano di bloccare gli sforzi per alzare le barriere sull’importazione dell’acciaio cinese a basso costo che sta affossando il comparto nel Continente. La siderurgia europea, nota l’Eurofer, l’associazione dei produttori continentali, si trova in una situazione anomala, che mostra tutte le distorsioni nel commercio, riconducibili all’import da Cina Russia e Bielorussia: la domanda di prodotti europei cresce, ma il prezzo cala. Le aziende rischiano pertanto di non riuscire a cogliere le opportunità della seppur timida ripresa dei settori che utilizzano l’acciaio, la cui attività calcolata secondo l’indice Swip dovrebbe migliorare del 2,2% nel 2016 e del 2,6 nel 2017, secondo le stime dell’associazione aggiornate a gennaio. Intanto il comparto si muove verso il consolidamento. Venerdì 1° aprile è emerso che Tata Steel è in trattativa con ThyssenKrupp per integrare le rispettive attività siderurgiche europee. Per gli esperti di Credit Suisse, lo scenario porterebbe alla creazione di un produttore di acciaio di alta qualità con una capacità di 20 milioni di tonnellate.

 

 

Fonte: Milano Finanza