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Nella campagna elettorale più noiosa e più difficilmente interpretabile degli ultimi vent’anni è interessante capire come i principali partiti e schieramenti intendono muoversi rispetto al mondo dell’impresa.

 

Serve, quindi, oltre alle dichiarazioni dei leader andare a leggere i programmi elettorali, sempre meno pubblicizzati e un po’ nascosti, per capire le linee che i movimenti politici almeno sulla carta propongono in vista di un loro eventuale approdo al governo.

Se il M5S alla politica economica dedica un programma di una cinquantina di pagine, gli alti due principali attori della scena politica italiana restano molto vaghi sulle ricette per la futura politica commerciale e di sviluppo del nostro Paese. Una dimostrazione ulteriore sulle incertezze legate agli scenari post-voto di questa tornata elettorale.

 

MOVIMENTO 5 STELLE

 

Chi ha dato molto risalto alla preparazione e alla stesura del proprio programma è stato il Movimento 5 Stelle.

La parte dedicata al mondo del lavoro e delle imprese è decisamente consistente e dà indicazioni interessanti. Ci sono pure indicazioni inaspettate da parte dei pentastellati come l’opposizione al riconoscimento della Cina come economia di mercato, ma anche un aggiornamento delle politiche europee sull’antidumping per tutelare le imprese italiane ed in particolare l’attivazione delle clausole di salvaguardia per le nostre imprese nell’ambito dei trattati economici internazionali tra Ue e Paesi terzi.

 

Sulla protezione dei nostri prodotti sul programma si legge: «Al fine di evitare effetti nefasti e insostenibili economicamente, ambientalmente e socialmente gli impegni del prossimo governo italiano a Bruxelles “pretenderà” le seguenti azioni: semplificazione per l’avvio dell’inchieste, e delle relative azioni, sui fenomeni “Antidumping” e “Antisussidi”, assicurando nel contempo un maggiore accesso alle risultanze delle inchieste. Automatismo per l’attivazione delle clausole di salvaguardia previste nei trattati di libero scambio. Controllo severo degli standard qualitativi e degli stock quantitativi per i prodotti di importazione extranazionali-europei, creando sistemi di controllo comuni per garantire la tracciabilità e la regola d’origine dei prodotti importati e la lotta alla contraffazione».

Non solo il M5S è contro il Ceta, contro il Ttip e propone un referendum per l’uscita dall’euro come ultimo punto del suo programma economico, propone il marchio made in Italy anche per i prodotti non agricoli, l’abolizione del fiscal compact e la possibilità di escludere dal conteggio del 3% sul rapporto deficit/pil per tutte quelle azioni dello Stato per investimenti e innovazione.

 

Un intero capitolo è poi dedicato alla siderurgia in particolare per il polo siderurgico di Terni, in cui i pentastellati immaginano addirittura un piano nazionale per poli siderurgici sviluppato per punti:

– Un cronoprogramma di interventi con lo scopo di portare gli stabilimenti ad essere “ad impatto sostenibile” a livello ambientale, economico e sociale;
– Exit strategy in caso di non sostenibilità degli stabilimenti a livello ambientale, economico e sociale;
– Mantenimento dei livelli occupazionali dei lavoratori del comparto siderurgico e degli indotti;
– Il miglioramento dei livelli di sicurezza sul lavoro dei lavoratori del comparto siderurgico indotto;
– Previsione nelle contrattazioni sindacali, eventuali riassunzioni privilegiate per i lavoratori attualmente in mobilità o prossimi ad essa;
– Garantire investimenti e volumi produttivi coerenti con il fabbisogno italiano in considerazione di una più efficiente campagna di recupero dei rottami di acciaio di qualità (acciai legati e inox), in maniera sostenibile per l’ambiente, con la prospettiva di giungere in tempi certi lavorazioni ad emissioni zero;
– Prevedere l’utilizzo delle risorse e degli strumenti previsti dal Fondo strategico italiano;
– Promozione degli investimenti in servizi marginali con maggiore valore aggiunto dell’azienda e quindi con più profitti; servizi al cliente; aumento della fidelizzazione del cliente.

Detto questo però nella parte dedicata al fisco, pur parlando della necessità di una rimodulazione dell’Irpef, il M5S parla di tasse ambientali nel lungo periodo. Per ora si immagina di dare sgravi a chi inquina meno, ma in un passaggio si chiarisce: «Nel lungo periodo, la tassazione dei consumi e della produzione in base all’indice di impatto ambientale potrebbe anche essere una valida alternativa agli attuali sistemi di imposizione basati principalmente sulla tassazione della ricchezza prodotta, attribuendo al sistema impositivo una marcata impronta ambientale in attuazione del principio “chi (meno) inquina (meno) paga”».

Dal punto di vista del mercato del lavoro, infine, si immagina l’abolizione del Jobs act e una politica di riduzione degli orari di lavoro prendendo spunto dalle 35 ore in Francia o dai modelli del Nord Europa e sul modello tedesco immagina la Mit-Bestimmung anche nelle aziende italiane, con la partecipazione dei dipendenti alle strategie dell’impresa. Infine immagina di togliere finanziamenti ai sindacati (che potranno finanziarsi solo con il tesseramento) e riportare Caf e patronati sotto il controllo pubblico.

 

PARTITO DEMOCRATICO

 

Il Pd si pone in continuità con quanto fatto dai governi Renzi e Gentiloni e quindi il suo programma è un continuum rispetto alle ultime misure di politica industriale ed economica. Questo rende molto vago il programma economico del partito principale della coalizione di centrosinistra. Una sorta di navigazione a vista nell’attesa di vedere cosa accadrà il 4 marzo. Quindi continuità e coerenza con le politiche industriali del governo italiano e delle politiche europee.

In particolare sono tre i punti cardine del programma per la politica industriale dei democratici.

Il Pd si impegna alla riduzione della pressione fiscale sulle imprese portando l’aliquota Ires al 22% e promette alle imprese individuali un’uguale tassazione attraverso l’introduzione dell’Iri con aliquota al 22%. I dem promettono di aumentare la deducibilità dell’Imu pagata sugli immobili da imprese, commercianti, artigiani e professionisti.

Ma soprattutto in linea con quanto fatto dal ministero per lo Sviluppo economico i dem promettono di rafforzare il Piano Impresa 4.0 rendendo stabile e strutturale il credito di imposta alla ricerca e sviluppo, prevedendo una riduzione graduale dell’iperammortamento per poi introdurre strutturalmente un’accelerazione della deducibilità fiscale degli investimenti produttivi.

Per quanto riguarda il tema del protezionismo e dei dazi, il programma dei democratici è molto vago: si dichiara di voler contrastare le politiche protezionistiche, puntando invece a regolare la globalizzazione garantendo l’apertura dei mercati e rafforzando gli strumenti di difesa commerciale contro il dumping sociale e ambientale, dotando la Ue di golden power (poteri speciali di salvaguardia delle aziende ndr.) per tutelare le imprese strategiche.

In termini economici, vi sono altri due obiettivi principali: ridurre i prezzi dell’elettricità rispetto alla media UE e azzerare il differenziale di prezzo all’ingrosso tra il gas italiano e quello del Nord Europa.

 

CENTRODESTRA

 

I programmi di centrodestra, sia quello di Forza Italia, sia quello della Lega e in generale il patto unitario sottoscritto dai partiti della coalizione, non contengono, curiosamente, dettagli legati alla futura politica industriale.

Certo la vera novità è quella legata all’introduzione della flat tax al 15% nella futura tassazione italiana. Una scelta questa rivoluzionaria rispetto al resto dell’Europa continentale ed occidentale, ma che lascia grossi punti interrogativi sulle effettive coperture economiche di questa nuova struttura impositiva oltre che ovviamente la sostenibilità finanziaria di una misura del genere.

Più in generale poi Silvio Berlusconi da un lato e Matteo Salvini con Giorgia Meloni dall’altro, hanno posizioni apparentemente diverse sulla politica commerciale. Berlusconi continua a ribadire l’idea di una minore intromissione dello Stato nelle politiche economiche, lasciando spazio d’azione al mondo economico.

Salvini e la Meloni, non tanto negli scarni programmi, ma piuttosto nelle loro dichiarazioni, danno un’immagine plastica dell’impostazione sovranista e quasi lepenista dei propri movimenti. Si potrebbe quasi dire che Salvini in primis ha dato un’impronta “trumpista” alla propria campagna elettorale facendo balenare l’idea di una politica protezionistica che passa necessariamente però dalla ridiscussione dei trattati europei. Una prospettiva questa tanto complicata, quanto difficilmente realizzabile nella realtà dei fatti. La Lega infatti non parla di Italexit, ma di revisione complessiva dell’intero acquis europeista che certo, se realizzata, avrebbe effetti diretti sull’intera politica industriale e commerciale del nostro Paese.

Venendo allo scarno programma di politica industriale del centrodestra, si parla innanzitutto di riduzione progressiva del cuneo fiscale e si prefigura la semplificazione delle imposte per le imprese (in linea con l’ipotesi più generale della flat tax). Per quanto riguarda i macro scenari, in particolare la Lega, parla di recupero della sovranità commerciale dell’Italia a scapito dell’Europa.

Sempre il Carroccio torna ad ipotizzare un percorso che porti il nostro Paese fuori dall’Eurozona. Infine la flat tax al 15% viene indicata come strumento anche per facilitare il rientro in Italia delle industrie che hanno delocalizzato la produzione all’estero.

 

 

 

 

Fonte: siderweb.com 

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