L’Europa vuole difendersi dall’aggressività cinese, così la nuova parola d’ordine a Bruxelles è protezione e non protezionismo tanto caro a Donald Trump.
Lo hanno chiesto Germania, Francia e Italia in una lettera congiunta alla Commissione europea, lo ha ribadito il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani in un’intervista a Il Sole 24 Ore, e soprattutto il presidente della Bce, Mario Draghi , nel suo intervento al summit dei governatori centrali di Jackson Hole in Wyoming ne ha illustrato la cornice politico-economica.
Insomma un’azione coordinata per fermare le scalate di Pechino ai gioielli di famiglia dell’industria europea, che a Bruxelles vengono interpretate non tanto frutto delle logiche del libero mercato, quanto piuttosto vere e proprie operazioni strategiche condotte dallo Stato cinese secondo una politica estera sempre più aggressiva.
Gli appetiti di Great Wall su rami di Fca sono solo l’ultimo esempio di una serie di operazioni rientranti nella grande strategia cinese connessa al programma “Made in China 2025” che mira ad acquisire know-how tecnologico in giro per il mondo. Tra i casi di scuola maggiormente significativi che hanno fatto scattare l’allarme in Europa, l’acquisizione, lo scorso anno, da parte dei cinesi di Minea Group della Kuka, azienda tedesca leader nella robotica che, nell’arco di pochi mesi, è diventato il fornitore leader dell’intera struttura produttiva cinese.
Lo scorso marzo il viceministro tedesco per gli Affari economici e l’energia Mathias Machnig, a fronte delle preoccupazioni espresse dalla Confindustria tedesca (Bdi), ha detto senza mezzi termini: «L’Europa è aperta, ma non siamo stupidi».
In quel momento Berlino, Parigi e Roma avevano già elaborato le loro richieste per la Commissione Ue in una lettera la cui sintesi di quattro pagine è iniziata anche a circolare fuori dagli uffici del Berlaymont. Si tratta di un documento agile e molto chiaro in cui si chiede all’Esecutivo europeo di monitorare gli investimenti di attori di Paesi terzi, soprattutto se questi sono rivolti ad aziende strategiche nel settore dell’innovazione tecnologica. Una vera e propria rete di protezione dall’aggressività di Pechino che spesso si nasconde dietro investitori, per così dire, privati per rastrellare gli asset strategici europei.
La strada è comunque stretta: se è vero che anche la Commissione sta valutando una nuova normativa sugli investimenti di attori extra-Ue, d’altra parte vanno rispettati i regolamenti del Wto e l’idea che proprio la Commissione agisca da poliziotto del mercato interno deve fare i conti anche con la richiesta formulata da Italia, Francia, Germania affinché l’ultima parola resti comunque a livello nazionale e non comunitario. Molti analisti aspettano le indicazioni che emergeranno dal discorso dell’Unione che Jean-Claude Juncker terrà a Strasburgo il 13 settembre di fronte all’Europarlamento.
Proprio il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, in settimana è tornato sul tema chiarendo: «Quello che vogliamo è sempre garantire un mercato trasparente alle nostre aziende: non è questione di protezionismo, ma la concorrenza deve essere leale». Qui sta il cambio di strategia: si passa dal protezionismo alla protezione, il che significa un sistema concordato tra gli Stati Ue con la regia della Commissione per difendere la produzione europea. Tajani lo spiega così: «Dev’essere una iniziativa di alto profilo, che non escluda nessuno. Ormai nei settori strategici, dall’hi tech allo spazio, ci sono talmente tanti collegamenti e interessi congiunti che è difficile dire se la questione riguardi questo o quello Stato. È meglio che se ne occupi l’Europa, con la Commissione direttamente o un’agenzia ad hoc, coinvolgendo poi tutti i soggetti interessati».
La dimostrazione di quanto la situazione sia seria e di come sia davvero allo studio una strategia comune viene dalle parole usate da Draghi al vertice dei governatori delle banche centrali che si è svolto in Wyoming, a Jackson Hole. Il presidente della Bce ha parlato di crescita globale e di rilancio dell’Eurozona, ha poi bocciato il protezionismo ricordando che chiudere gli scambi commerciali rischia di avere un impatto negativo sul potenziale di crescita globale.
Ma il numero uno dell’Eurotower ha introdotto il concetto di protezione: «Serve una maggiore cooperazione multilaterale in grado di rispondere ai timori di sicurezza ed equità legati alla globalizzazione. Incoraggiando una convergenza delle regole, è possibile proteggersi dagli effetti non graditi dei mercati aperti. E la protezione assicura il non scivolare nel protezionismo».
Siamo probabilmente di fronte alla risposta europea all’”America first” di Trump e all’aggressività cinese; una terza via lungo la quale non si vogliono chiudere i mercati rischiando di perderne i benefici per una crescita mai così necessaria in Europa, ma al contempo si vuole difendere l’industria europea.
Perché se è vero che oggi si guarda con preoccupazione alle operazioni di Great Wall e Alibaba, domani potrebbe trattarsi di Google o Facebook.
Fonte: siderweb.com