Ci sono voluti più di tre anni, e la minaccia rappresentata dalla concessione dello status di economia di mercato alla Cina, ma qualcosa, in questi mesi, finalmente sembra muoversi in seno all’Ue. Dopo anni nel dimenticatoio, nel pantano politico-burocratico dei veti incrociati tra i vari organi dell’Unione, nei giorni scorsi è stata raggiunto una bozza di accordo che dovrebbe “oliare” un ingranaggio fermo da molto tempo: quello della difesa commerciale dell’Ue. Una riforma ormai necessaria, ad oltre 21 anni di distanza dalle ultime modifiche legislative sul tema, ma che è ferma dal 2013 per un mancato accordo politico tra i paesi dell’Ue. Ma in queste ultime settimane sembra essere arrivato il momento dello sblocco: la pressione cinese, infatti, sta velocizzando l’Unione e la sta spingendo verso un accordo che cambierà il modo e le forme con le quali l’Europa si difende dalla concorrenza sleale. Vediamo come.
L’inizio: 2013
A quasi 20 anni di distanza dall’ultimo aggiornamento degli strumenti di difesa commerciale dell’Unione europea (risale al ’95), nel 2013 la Commissione europea ha mosso un passo verso il rinnovamento. Questo passo si è concretizzato nella presentazione, il 10 aprile di quell’anno, della la proposta modifiche al regolamento antidumping di base (regolamento (CE) 1225/2009, poi codificato con il regolamento (UE) 2016/1036 ) e al regolamento antisovvenzioni di base (regolamento (CE) 597/2009, poi codificato con il regolamento (UE) 2016/1037). Gli obiettivi che si era posta la Commissione erano molteplici, ed andavano in diverse direzioni. I principali erano i seguenti:
eliminare la regola del dazio inferiore nei casi di elusione o quando siano state riscontrate distorsioni strutturali a livello di materie prime, e nei casi di sovvenzioni. La regola del dazio inferiore permette alla Commissione di istituire dazi ad un livello minore rispetto al margine di dumping, a patto che questo livello sia sufficiente a eliminare il pregiudizio arrecato ai prodotti dell’UE. Per esempio, per quanto riguarda la siderurgia, nelle misure recentemente istituite sui coils a caldo cinesi, il margine di dumping era stato individuato al 102% e il margine di pregiudizio al 19%, livello al quale sono stati fissati i dazi;
Incrementare la trasparenza e la prevedibilità dei procedimenti antidumping e antisovvenzioni;
Facilitare la collaborazione delle parti interessate;
Evitare le ritorsioni nei confronti dei denuncianti procedendo d’ufficio;
Facilitare le procedure di riesame.
La proposta presentata dalla Commissione, nonostante fosse già stata discussa ampiamente sia dal Parlamento europeo sia dal Consiglio, venne approvata dal Parlamento in prima lettura, mentre si arenò in Consiglio. In quella sede si produsse un’impasse in particolare sulla questione della regola del dazio inferiore (Lesser Duty Rule).
Il 2016: il MES cinese fa muovere l’Ue
L’impasse in Consiglio europeo non è poi più stata superata. Ma, nel frattempo, una scadenza molto importante ha smosso le acque in Europa. La scadenza è quella relativa alla concessione dello status di economia di mercato alla Cina. La Cina ha aderito all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) nel dicembre 2001 ed in base ad alcune disposizioni del Protocollo di adesione al WTO, con il riconoscimento dello status di mercato alla Cina e in ogni caso dopo 15 anni dalla data di adesione della Cina al WTO, una serie di disposizioni sono destinate a decadere. In particolare, l’Unione europea, in presenza di determinate condizioni, utilizza il cosiddetto metodo del “Paese analogo” (o “Paese di riferimento”) che consente, nel caso di import originario da Paesi non retti da un’economia di mercato, di determinare il valore normale in base al prezzo o al valore costruito in un Paese terzo ad economia di mercato oppure al prezzo per l’esportazione da tale Paese terzo ad altri Paesi. In tal modo, si possono considerare i prezzi (normalmente più alti) di un Paese terzo per applicare margini di correzione tariffaria antidumping superiori rispetto a quelli praticati considerando i prezzi o i costi interni cinesi. La Cina, avvalendosi di una disposizione dell’accordo del WTO, afferma che a partire dal quindicesimo anniversario dell’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio, i paesi membri non potranno più adottare, nelle procedure antidumping aventi ad oggetto prodotti importati dalla Cina, metodologie alternative a quella del cosiddetto valore normale (dove il margine di dumping è calcolato come differenza fra il prezzo che l’esportatore applica a un prodotto nel mercato di provenienza e il prezzo che lo stesso esportatore applica a tale prodotto sul mercato dell’UE). Ciò comporterebbe per l’Unione europea l’abbandono del metodo del Paese analogo o di riferimento e di modificare pertanto il trattamento riservato alla Cina nelle indagini antidumping. Tuttavia, tale decadenza è oggetto di controverse interpretazioni. Per superare possibili problemi giuridico-normativi, tra febbraio e aprile 2016 la Commissione ha avviato una consultazione pubblica.
Secondo l’organo europeo, le opzioni sul piatto alla scadenza delle disposizioni del WTO sono tre:
a) non modificare la normativa dell’UE;
b) cambiare la metodologia antidumping senza misure supplementari;
c) modificare la metodologia antidumping relativa agli strumenti di difesa commerciale come parte di un pacchetto comprendente misure supplementari.
Tra queste possibilità, la Commissione ha scelto l’ultima. La ragione di tale orientamento è semplice: qualora si considerasse non più applicabile alla Cina e ad altri Paesi la metodologia del Paese di riferimento per la determinazione dei margini di dumping, si otterrebbe come risultato di poter applicare margini di dumping mediamente più bassi, dato che la metodologia standard non prende in considerazione le distorsioni esistenti sui mercati di riferimento. Ciò condurrebbe all’indebolimento dell’efficacia degli strumenti di difesa commerciale dell’UE, con come conseguenza naturale un maggior flusso in entrata delle importazioni oggetto di dumping, una maggiore pressione sull’industria continentale ed una perdita di posti di lavoro.
Con l’autunno arrivano le proposte
L’avvicinamento della scadenza dell’11 dicembre ha portato ad una velocizzazione del movimento della macchina burocratica europea. Il 18 ottobre, infatti, la Commissione ha presentato la comunicazione «Verso una politica commerciale solida per l’UE nell’interesse della crescita e dell’occupazione», ed il 9 novembre è stata elaborata la proposta di regolamento COM(2016)721, che era focalizzata soprattutto all’introduzione di un nuovo metodo di calcolo del dumping nei confronti di Paesi terzi che adottano pratiche commerciali sleali. Inoltre, la Commissione ha sollecitato i Paesi membri ad approvare con urgenza la proposta di regolamento presentata già nel 2013, che aveva lo scopo di modernizzare gli strumenti di difesa commerciale e sulla quale non si era ancora risolta l’impasse causata dal mancato accordo in sede di Consiglio. Le vecchie divisioni che avevano fatto impantanare la proposta, però, sono riemerse: in particolare in merito alla regola del dazio inferiore, con alcuni stati che vorrebbero mantenerla (Repubblica Ceca, Malta, Danimarca, Regno Unito, Slovenia, Finlandia, Svezia, Austria, Cipro, Paesi Bassi, Lettonia, Estonia e Irlanda) ed altri che vorrebbero disapplicarla (Italia, Polonia, Francia, Grecia, Ungheria, Belgio, Slovacchia, Lituania e Portogallo). Nel Consiglio degli Affari Esteri dell’11 novembre scorso è stato proposto quindi un testo di compromesso, sul quale non è stato raggiunto un accordo. Nella proposta, peraltro, si manteneva in vigore il principio della regola del dazio inferiore, in quanto, secondo il documento reso pubblico «assicura la proporzionalità delle misure antidumping».
La svolta del 13 dicembre
Il 13 dicembre 2016 c’è stata una svolta. Il Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) ha concordato la posizione di negoziato del Consiglio in merito a una proposta sull’ammodernamento degli strumenti di difesa commerciale dell’UE. «La proposta di regolamento – si legge nel comunicato stampa del Consiglio dell’Ue – modifica i regolamenti vigenti in materia di antidumping e antisovvenzioni al fine di rispondere meglio alle pratiche commerciali sleali. L’obiettivo è quello di proteggere i produttori dell’Ue dai danni provocati dalla concorrenza sleale, garantendo un commercio libero ed equo.
In particolare il regolamento proposto mira a:
migliorare la trasparenza e la prevedibilità per quanto riguarda l’imposizione di misure antidumping e antisovvenzioni provvisorie. Ciò comprende un periodo di quattro settimane a partire dal momento in cui l’informazione è resa pubblica, durante il quale i dazi provvisori non saranno ancora applicati;
consentire l’avvio di inchieste senza una richiesta ufficiale da parte dell’industria, qualora esista una minaccia di ritorsione da parte di paesi terzi;
ridurre il periodo di inchiesta;
consentire l’imposizione di dazi più elevati quando sussistano distorsioni relative alle materie prime e tali materie prime, tra cui l’energia, rappresentino congiuntamente oltre il 27% del costo di produzione complessivo e, singolarmente, oltre il 7%. Sarebbe permesso un discostamento limitato dalla “regola del dazio inferiore” applicata nell’UE, in base alla quale i dazi non devono essere superiori a quanto necessario per prevenire un pregiudizio a un’industria dell’UE. L’imposizione di dazi più elevati si baserà su un profitto di riferimento e sarà anche oggetto di una valutazione dell’interesse dell’Unione consentire agli importatori di ottenere il rimborso dei dazi riscossi durante un riesame in previsione della scadenza nel caso in cui le misure di difesa commerciale non siano mantenute».
La parola ai negoziati
Raggiunta l’intesa tra i 28 Paesi membri, l’iter non è ancora concluso. Ora possono essere avviati i negoziati tra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue, durante i quali il testo del nuovo regolamento potrebbe ancora subire delle modifiche. La speranza è che si raggiunga un accordo nel più breve tempo possibile, in quanto, secondo una valutazione d’impatto realizzata dalla Commissione ed associata alla nuova proposta di regolamento, l’abbandono del criterio del Paese di riferimento nei confronti della Cina colpirebbe in maniera violenta la competitività dell’industria dell’Ue, area nella quale circa il 50% delle misure di difesa commerciale riguardano importazioni dalla Cina. I dazi, se non ci fossero modifiche legislative, potrebbero diminuire anche di 30 punti percentuali e fino a 200 mila posti di lavoro nell’UE sarebbero messi in pericolo.
Fonte: siderweb.com