Chi paga? Dopo l’«oxi», il no del popolo greco che ha spazzato via le proposte europee di austerity, ora la domanda che circola tra i palazzi del potere internazionali (ma anche tra gli operatori globali di borsa) è: cosa succederà? Chi pagherà il debito greco? A quali condizioni?
Siderweb, dal suo punto di vista particolare sulla siderurgia, si è invece chiesto: quanto costa? E quanto è costata agli operatori italiani? E ai tedeschi? Cioè, quanto è costata la crisi economico-finanziaria greca alla siderurgia italiana e tedesca? Chi ha pagato il conto più salato?
La risposta, come spesso accade, è la più scontata (e triste).
Crisi: addio import – Ma andiamo con ordine. La crisi greca è scoppiata nel 2009, quando il primo ministro George Papandreou ha rivelato che i bilanci inviati dai precedenti governi greci all’Ue erano stati falsificati con l’obiettivo di garantire l’ingresso della Grecia nella zona euro. Questa dichiarazione, unita ai crescenti timori sulla capacità ellenica di ripagare il crescente debito pubblico, hanno creato una crisi di fiducia, che poi si è tramutata in una tremenda crisi economico-finanziaria. L’economia greca è collassata, così come la siderurgia (clicca qui per leggere la scheda realizzata da Siderweb).
Oltre al calo della produzione interna, scesa nel 2014 a 998.000 tonnellate dai 2,6 milioni di tonnellate del 2007, nel paese è anche nettamente diminuito il consumo di acciaio (da 4,5 a 1,2 milioni di tonnellate), passando dal 12° al 17° posto in Europa in questa classifica e, conseguentemente, le importazioni sono colate a picco.
Analizzando i dati doganali, infatti, si nota che nel 2007, l’anno più brillante per la siderurgia ellenica, l’import di prodotti siderurgici primari (tubi e prodotti di seconda trasformazione esclusi), materie prime siderurgiche e semilavorati ammontava a 4,580 milioni di tonnellate, dei quali 2,137 milioni di tonnellate dall’Ue e 2,444 milioni di tonnellate provenienti da paesi al di fuori dell’Ue. Questi numeri sono drammaticamente scesi nel 2014: le importazioni globali sono diminuite a 1,341 milioni di tonnellate (-70,7%), con l’Ue che è rimasta al di sopra del milione di tonnellate (1,097 milioni di tonnellate, -48,7%) ed i paesi extracomunitari che hanno fatto registrare una contrazione del 90% (244.377 tonnellate). In termini monetari, se le importazioni greche di acciaio, nel 2007, erano pari a 2,135 miliardi di euro, il controvalore l’anno scorso è sceso a 820 milioni di euro (-61,6%).
Entrando maggiormente nel dettaglio dei prodotti importati, nel 2007 sono arrivati sulle coste greche 1,708 milioni di tonnellate di rottame, 1,025 milioni di tonnellate di piani a caldo 362.755 tonnellate di piani rivestiti, 293.990 tonnellate di laminati e profilati e 275.001 tonnellate di barre a caldo e a freddo. La somma di questi prodotti fa 3,665 milioni di tonnellate, l’81%del totale delle importazioni. Nel 2014, invece, le quantità si sono ridotte drammaticamente: il rottame è sceso a 727.607 tonnellate (-57,4%), i piani a caldo a 543.097 tonnellate (-47,0%), i piani rivestiti a 202.555 tonnellate (-44,0%), i laminati e profilati a 89.261 tonnellate (-69,7%) e le barre a caldo e a freddo a 68.927 tonnellate (-74,9%).
Italia vs Germania – Preso atto della dimensione della contrazione della siderurgia greca, ora ci siamo posti una domanda. Come hanno influito questi dati sui commerci di acciaio con Italia e Germania? Chi ha pagato il conto più salato?
Nel 2007, l’Italia era uno dei maggiori partner commerciali della Grecia nel settore acciaio, con un’esportazione verso il paese mediterraneo di 701.627 tonnellate, pari ad una quota di mercato del 15,3%. La Germania, invece, esportava in Grecia 77.815 tonnellate, con una quota dell’1,7%. Tra i prodotti più esportati dalla Germania nel 2007 c’erano i piani con larghezza superiore a 600 mm rivestiti (29.105 tonnellate), seguiti dai piani inox con larghezza superiore ai 600 mm (9.870 tonnellate). Per l’Italia, invece, i piani a caldo in acciai al carbonio di larghezza superiore a 600 mm erano il prodotto leader nel 2007, con 359.006 tonnellate, seguito dalle barre (168.728 tonnellate) e dalle travi e laminati mercantili (73.641 tonnellate).
Nel 2014, l’Italia rimane uno dei principali partner commerciali della Grecia, ma su volumi molto più contenuti. L’anno scorso, gli operatori nazionali hanno esportato sulle coste dell’Egeo 267.094 tonnellate, con una riduzione del 61,9% rispetto al 2007. I piani a caldo rimangono il prodotto più esportato (155.076 tonnellate, -56,8%), mentre le barre crollano a 26.648 tonnellate (-84,2%) e le travi quasi scompaiono (854 tonnellate, -98,8%). Il rottame è l’unico prodotto controcorrente, salendo da 649 tonnellate a 38.300.
La Germania, viceversa, mostra una tenuta maggiore. Le esportazioni in Grecia, infatti, sono diminuite solo dell’8,4%, fermandosi a 71.313 tonnellate e con un’incidenza di oltre il 50% degli acciai speciali.
Conclusione – La crisi greca, della quale non si vede ancora una fine, non ha risparmiato la siderurgia italiana. Pur avendo una performance migliore della media dell’import (le esportazioni italiane sono scese del 61,9%, mentre le importazioni totali greche sono diminuiti del 70,7%), e avendo aumentato la propria quota di mercato dal 15,3% al 19,9%, le aziende tricolori hanno pagato una “tassa” di oltre 250 milioni di euro alla crisi, con un valore dell’export sceso da 378,969 milioni di euro a 128,964 milioni di euro. In particolare, gli esportatori di lunghi hanno pagato il dazio maggiore, con un valore delle merci vendute in Grecia sceso da 157,8 milioni di euro a 22,7 milioni di euro (-135,1 milioni di euro). Chi vende piani, invece, ha perso 104,2 milioni di euro, passando da 186,2 milioni di euro nel 2007 a 82,0 milioni di euro nel 2014.
La Germania ha subito un impatto minore. Partendo da una quota di mercato dell’1,7%, negli ultimi 7 anni è salita al 5,3%. Pur cedendo gran parte del valore del proprio export (da 101,6 milioni di euro nel 2007 a 56,6 milioni di euro nel 2014), gli esportatori tedeschi hanno saputo cambiare pelle, passando da oltre il 50% di vendite di piani a caldo e rivestiti in acciaio al carbonio ad oltre il 54% di piani in acciai speciali. La Grecia, che era una nicchia per i tedeschi, è diventata una nicchia a maggior valore aggiunto: questa probabilmente è la spiegazione della tenuta, almeno nei volumi, della Germania. Una tenuta che non è invece riuscita all’Italia, ancora troppo spostata sulla vendita di acciai comuni.
Tornando alla domanda con cui si era aperto l’articolo, quindi, la risposta, come spesso accade, è la più scontata. Il maggior scotto alla crisi ellenica, tra Germania ed Italia, è pagato dalla nostra siderurgia. Uno scotto che si traduce in -250 milioni di euro nelle casse dei nostri siderurgici e dei nostri esportatori e in 434.533 tonnellate in meno di venduto. Purtroppo, un pezzo della crisi della Grecia è già approdato in Italia.
Fonte: siderweb.com